La firma del puparo



Roberto Riccardi
La firma del puparo
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Il terzo romanzo che ha come protagonista il tenente Rocco Liguori ci riporta indietro nel tempo, ai bei romanzi di Sciascia e alla sua terra dura e bellissima, la Sicilia.
Rocco è nato a Sulmona, proprio come il compagno d’infanzia Nino, che ha arrestato in un precedente romanzo (Undercover. Niente è come sembra). Il destino di entrambi è stato loro imposto dalla famiglia di appartenenza; dai rispettivi padri per essere più precisi. Le forze dell’ordine nel primo caso e la camorra, nel secondo. Difficile portare avanti un’amicizia così.
Ma come ha ben insegnato Sciascia, tra gli uomini, quelli veri – non i mezz’uomini o, scendendo ancora più in basso, i quaquaraquà – ci può essere rispetto al di là delle differenze, forse anche una strana forma di affetto che parte dall’istinto e che la ragione a volte tenta inutilmente di soffocare.
Nino, il cui terzo figlio è arrivato da poco, non vuol passare tutta la vita in carcere. Vuole essere libero, accanto alla sua famiglia, a sua moglie, ai suoi bambini. Non ha che una possibilità, una scelta dolorosa e infamante, la peggiore: diventare un traditore, un collaboratore di giustizia.
Ha un fatto importante da raccontare, l’aver partecipato all’uccisione di un giornalista; scomparso a Palermo senza lasciare tracce e di cui nessuno ha mai ritrovato il corpo. Ma prima di scendere nei dettagli vuole la massima sicurezza per la sua famiglia e sa che d’istinto, può fidarsi solo del suo antico compagno d’infanzia.
Ecco l’antefatto che porta il tenente Rocco Liguori a lavorare a Palermo – bellissima e struggente, infuocata dal sole e dagli omicidi, da un calore e da una malavita che non lasciano respirare – a incontrare nuovi colleghi di lavoro, a trascinarne altri nella sua vita disordinata dedita solo alle sue missioni e a incontrare di nuovo la donna che non ha mai dimenticato.
L’indagine, ripartita tra i vari colleghi, è difficile da sbrogliare, sembra un puzzle tra chi gli ordini dei Boss mafiosi li subisce a chi li impartisce, a chi ancora, nell’ombra, nuove i fili dei suoi burattini, dei suoi pupi, senza mai comparire, senza lasciare tracce del suo operato.
Facciamo la conoscenza del puparo del titolo, un personaggio talmente bello e dannato da sembrare vero. Un uomo colto, amante della storia dell’arte la cui masseria sembra una galleria con quadri e statue bellissime e di valore, non solo economico. «Uno così nasce ogni cento anni» viene detto da uno dei personaggi.
In questo romanzo, Roberto Riccardi sembra voler confondere le acque, giocando abilmente con i toni incerti. Il confine tra bene e male non appare infatti netto, tutt’altro. Tutto è impastato, confuso; l’amore e l’odio, la ferocia assassina e la struggente tenerezza maritale, l’egoismo più efferato e il desiderio impossibile da realizzare di non far soffrire chi si ama.
Ma in questo romanzo si narra di un’indagine che, una volta tanto, porta all’arresto di molti colpevoli e di uno in particolare. Ci vorrà il lavoro di una squadra affiatata e fidata, due viaggi in America, il lavoro di un italo americano che della Sicilia ricorda poco o niente, ma che le faccende di mafia le fiuta come se le avesse nella mappatura del DNA.
Un discorso a sé meriterebbero le figure femminili. Donne catturate da piccole da una passione più grande di loro, come Maria, la fedele e innamorata moglie di Nino che a un certo punto non sa più di chi fidarsi; oppure come la ribelle, difficile da gestire e impossibile da amare Stefania. La testa piena di romanticismo e di stupidità, ma per lei si può arrivare perfino a morire. E ancora Vera Morandi, il magistrato che sa perfettamente quello che vuole ma che non sa se lo otterrà tra i mille sensi di colpa che a volte il lavoro le mette di fronte.
Un bel romanzo, con riferimenti reali che lo rendono più credibile, con citazioni sciasciane che portano il lettore in un territorio familiare e sentimentalmente vicino. Si legge con gusto, come si mangerebbe un gelato di Ilardo, il locale storico di Palermo.

Elena Zucconi

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