Melegnano, provincia di Milano, anno 1817.
L’organista Gaspare viene mandato in paese per riparare il vecchio organo, rotto due anni prima durante una giornata piena di eventi misteriosi che tutti ricordano, ma di cui nessuno parla volentieri. Smontando le canne dello strumento Gaspare trova al loro interno dei frammenti di ossa, che dapprima attribuisce a qualche volatile, ma che poi accerta essere appartenenti alla mano di un uomo.
Da quel momento l’organista inizia una personale ricerca che lo vede entrare nei ricordi, nella storia e nelle vicende personali degli abitanti di Melegnano. Tra di questi Tano Le turc, il locandiere meridionale che parla solo in dialetto stretto, Malalingua, il suo traduttore, l’Angiul, sagrista, e la sua bella figlia Cecilia, di cui si invaghisce.
La vicenda a tratti sfiora il genere giallo, ma il mistero della mano (che verrà infine svelato, dopo un intreccio di avventure che conducono a quella giornata tanto misteriosa quanto intricata) serve principalmente per raccontare una inusuale storia di gente comune, del folklore di una cittadina, del colore di linguaggi e atteggiamenti persi e simpaticamente fatti rivivere.
Gabriele Prinelli, bibliotecario lombardo classe 1972, unisce in questo suo romanzo d’esordio un buon lavoro di ricerca e di recupero storico: la Melegnano di inizio ‘800 è ben rappresentata e la scelta di ambientarvi una vicenda molto particolare è interessante. La trama ha buoni spunti, ma è, a parere di chi scrive, esaurita un po’ troppo velocemente e condita di generi diversi che non riescono a focalizzarsi nel modo migliore su una impronta particolare.
La mano dell’organista rimane tuttavia un buon lavoro e un punto di partenza di livello per un autore la cui preparazione culturale è evidente. Confrontarsi con dialetti e retaggi culturali lontani non è mai facile, ma Prinelli riesce a dar vita a uno stile narrativo riconoscibile e di qualità.
