La mano sinistra del diavolo



paolo roversi
La mano sinistra del diavolo
mursia
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Nella distratta Milano ne succedono sempre di tutti i colori, oramai lo si sa, ma anche nella sonnecchiante Bassa padana non si scherza. Leggere per credere.
Il ritrovamento di una mano mozzata nella cassetta postale di un pensionato un po’ fuori di testa dŕ il via al secondo romanzo noir di Paolo Roversi, un mantovano di nascita e milanese di adozione che con la penna e la carta ci sa fare e non poco.
“La mano sinistra del diavolo” (Mursia) č una vicenda appassionante dalla prima all’ultima riga, una di quelle storie scritte in maniera cosě coinvolgente da farti dimenticare persino che, ogni tanto, arriva l’ora di mangiare o di dormire o di andare in bagno, una di quelle storie che, alla fine, ti lasciano con gli occhi che bruciano e il fuoco dentro, una di quelle storie che ti fanno ringraziare il Cielo di conoscere chi le ha scritte per potergli telefonare e dire quanto ti sono piaciute.
Segretarie avvenenti, rasta ingenui, ristoratori giapponesi, delinquenti comuni, vecchietti tranquilli, ragazze provocanti, per Roversi chiunque deve essere coinvolto, come č giusto che sia, perché il racconto viva in mezzo a tanti morti ammazzati.
Ad accompagnarci, come giŕ accadde in “Blue Tango” (Stampa Alternativa), l’ostinato cronista di nera Enrico Radeschi che, in sella al suo inseparabile Vespone giallo, si muove a proprio agio fra Milano e la Bassa in una storia senza sbavature e che rende omaggio, in modo discreto e con il dovuto rispetto, a due miti del genere del calibro di Giorgio Scerbanenco e Andrea G. Pinketts, due Grandi con la “gi” maiuscola nel nome ma, soprattutto, nel loro DNA di scrittori di razza.

paolo franchini

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