La ragazza del Kyūshū – Matsumoto Seichō



Matsumoto Seichō
La ragazza del Kyūshū
Adelphi
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Nella città di K. un giovane uomo è stato accusato di omicidio. La vittima è un’anziana donna conosciuta da tutti come un’usuraia. L’uomo, un maestro elementare, aveva un debito di 40mila yen e non riuscendo a restituire la somma entro i termini stabiliti, la donna aveva iniziato a dargli il tormento per vedersi restituito il denaro, lo seguiva lungo la strada che lo portava al lavoro, lo scherniva e insultava davanti a tutti. Grande il disagio e l’imbarazzo che il giovane uomo doveva aver provato. Quando l’usuraia viene trovata morta nella sua abitazione, le indagini conducono al maestro elementare, tutti gli indizi sembrano confermare la sua colpevolezza. L’uomo rischia la pena di morte.
Dopo venti ore di treno, una ragazza venuta dal Kyūshū, scende alla stazione di Tokyo. I tratti della ragazza, Kiriko Yanagida, sono netti, per quanto appaia innocente e ai limiti dell’ingenuità, dimostra segni concreti di determinazione e risolutezza. Vuole a tutti i costi incontrare uno degli avvocati più famosi del paese, un principe del foro, divenuto celebre per aver vinto anche cause apparentemente impossibili. Kiriko ha investito tutti i suoi risparmi per poter incontrare Ōtsuka e non tornerà nel Kyūshū senza aver ottenuto ciò che vuole. Il maestro elementare è suo fratello e l’unica che pare essere convinta della sua innocenza è proprio Kiriko, che arriva a Tokyo proprio per cercare di convincere l’avvocato Ōtsuka ad assumere la difesa del caso, sicura che avrebbe provato la sua innocenza.
Dopo essere riuscita a incontrare l’avvocato, nonostante il suo assistente abbia provato a metterla in guardia, Kiriko si scontrerà con una cruda realtà. Un principe del foro ha un onorario inavvicinabile per la ragazza, quindi a causa della parcella dell’avvocato, e del gran numero di fascicoli che giacciono sulla sua scrivania in attesa di essere seguiti e discussi, e poi c’è quell’immagine: Michiko, la donna che sta frequentando, lo attende al golf e lui la vede continuamente accerchiata da altri uomini. Ōtsuka, infine, nega alla ragazza la sua difesa, senza neanche voler conoscere qualche dettaglio in più sul caso. “Credevo ci fossero avvocati che hanno a cuore la giustizia, e avevo sentito dire che Ōtsuka era uno di loro. Per questo ero venuta fin qui. Davvero non vuole aiutarmi?“.
Il castello di carta, fatto di ideali, di teorie e di certezze crolla irrimediabilmente. Svanisce la possibilità che suo fratello possa salvarsi dalla pena capitale, di dimostrare la sua innocenza, che solo un avvocato di grido potrebbe fare quando tutto e tutti sembrano aver già emesso il verdetto. E tutto questo per una ragione di soldi. Una ragione della quale, Kiriko, non riesce a darsi pace. Potendosi permettere solo un paio di notti nella capitale, tenterà ancora una volta, via telefono, di convincere Ōtsuka a cambiare idea. Invano. Riprenderà quel treno, che la riporterà nel Kyūshū, venti ore percorse a ritroso verso una condanna certa.
Tuttavia, il caso giudiziario con cui si apre il romanzo di Matsumoto Seichō è solo il preambolo di un destino fatto a forma di trappola in cui cadranno uno a uno tutti i protagonisti, sui quali pendono le rispettive colpe. Sullo sfondo la città di Tokyo che si interseca fra strade, locali, ristoranti e antichi palazzi, Matsumoto Seichō, considerato da molti il George Simenon giapponese, costruisce una rete che amplifica l’odio e il risentimento che si possono celare dietro al volto quasi impassibile di una giovane donna, costruisce un noir fatto di singoli alibi, usati per alleggerire le proprie azioni, ma su ognuno dei quali la tensione eserciterà la propria pressione. “Non credo che qualcuno possa salvare mio fratello. Se avessimo avuto ottocentomila yen forse le cose sarebbero andate diversamente, ma ha avuto sfortuna, perchè non disponiamo dio una cifra simile. Evidentemente per chi è povero non può esserci giustizia“. Dopo Tokyo Express, pubblicato sempre da Adelphi, la ragazza venuta dal Kyūshū farà in modo che la verità venga a galla, senza tralasciare una giustizia dal sapore molto personale. 

 

Paola Zoppi

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