La sedia del custode in blogtour: l’intervista a Bahaa Trabelsi

copertinaSeconda  tappa del Blog tour per “La sedia del custode” di Bahaa Trabelsi  ed. Edizioni Le Assassine .
L’intervista all’autrice:

Una storia nera raccontata in prima persona da più personaggi. Ogni voce rappresenta un aspetto della società marocchina?  La sedia sulla quale siede l’omicida è un simbolo?
In realtà, ogni personaggio rappresenta un aspetto, sia i tre principali che i tre secondari. Il folle di Dio ci racconta in prima persona singolare la sua missione sulla Terra: pulire il quartiere Racine dai suoi peccatori, e quest’aspetto nero del fondamentalismo e delle sue derive. È nato dal mio timore perché in una società in mutazione, in una società che si radicalizza, non si può impedire che degli psicopatici vadano nella stessa direzione, verso quella follia, per esacerbare e portare questi nuovi valori, facendone una caricatura e usandoli per legittimare i loro crimini.
Rita, giornalista, madre single e divorziata rappresenta la parte libera del Marocco che esiste ancora ma che agonizza, conduce la sua inchiesta e s’innamora del commissario che ne è incaricato. Quest’ultimo è perso, alcolizzato e torturato, erra. Lei vuole vedere rosa, lui vede nero mentre l’assassino vede rosso. Però ci sono altri personaggi secondari che rappresentano il Marocco. Tutti i personaggi raccontano i cambiamenti che operano in Marocco, anche questi personaggi di cui Lhaj che amo molto e che è sul nostro vecchio Marocco, quello che abbiamo conosciuto prima e che si perde.

Definisci Casablanca “presuntuosa”, perché?
Tutti i miei libri si sviluppano a Casablanca. Sono pazza di Casablanca. È la mia città di adozione. Sono nata a Rabat. Ma ho avuto un vero colpo di fulmine per Casablanca trasferendomici. Casablanca è un vivaio, una sorgente d’ispirazione, ma anche un’orca che inghiotte tutto e che cresce senza fermarsi. Si è sviluppata troppo alla svelta. È la città di tutti gli abusi e in questo senso è “presuntuosa”.  Il libro finisce con una nota di speranza. Finisce con le nuove generazioni. Dina, che è un personaggio importante, fa parte di queste nuove generazioni. E è a Casablanca che potrebbe esserci appunto un ricambio per la lotta delle libertà.

Com’è oggi la situazione delle donne in Marocco? Qual è il loro ruolo?  Quanto divario c’è ancora tra le città e i paesi?
Nel libro, vi sono rappresentati diversi personaggi femminili. Certe sono delle donne delle pulizie, forti e coraggiose malgrado una vita che non ha fatto loro alcun regalo. Oggi, in Marocco, non si può nascere figlia in una famiglia povera e sperare di diventare medico o avvocato.
Abbiamo avuto un vero problema a livello dell’insegnamento e dell’educazione e le figlie femmine sono sempre relegate in secondo piano. Le ragazze delle campagne sono usate come manodopera. E vanno ancora a raccogliere l’acqua nei pozzi e fanno i lavori peggiori.
I figli maschi vanno a scuola anche se la scuola non è un punto di riferimento. Oggi in Marocco la scuola non rappresenta un punto di riferimento. C’è ancora molto lavoro da fare perché le bambine marocchine delle campagne possano accedere appunto all’educazione scolastica, possano avere delle possibilità di avere un percorso scolastico normale. Rimane molto da fare per dar loro accesso a una vita libera dall’analfabetismo. Una vita nella quale sappiano leggere, scrivere, nella quale abbiano gli occhi aperti e la coscienza sviluppata.  No, c’è ancora molto lavoro da fare anche se la società civile ha fatto parecchio, ma rimangono solo delle azioni mirate in una regione, in un villaggio. E nello stesso tempo è nelle città che si fanno le lotte delle donne, le lotte per la parità, per le libertà eccetera. Però anche questa tendenza è al ribasso… La violenza contro le donne torna molto in questo mio romanzo. Una scena di violenza che non svelerò.
Questa violenza racconta l’essenza stessa del rapporto uomo-donna, perché non c’è sguardo egualitario ma c’è uno sguardo dall’alto in basso. La donna è ancora trattata come un oggetto. Non ne siamo ancora usciti malgrado la lotta delle femministe forti. Come Latifa Jbabdi o come Fatna el Bouih. Sono delle donne che hanno segnato il Marocco negli anni Ottanta e Novanta. Si sono battute come leonesse. Hanno finito per ottenere qualche brandello di diritti ma oggi ritroviamo a capo del ministero della Donna una Bassima Hakkaoui che legittima la violenza spiegando che il violentatore dovrebbe sposare la violentata. Camminiamo a marcia indietro. Siamo nell’assurdo allorché le nostre madri e le nostre nonne si sono battute per i nostri diritti. La mia generazione ne ha beneficiato ma la maggioranza delle nostre figlie sta precipitando in qualcosa che è contraddittorio con le nostre libertà. Trovo questo estremamente pericoloso. Allora, evidentemente, questa violenza uomo-donna è qui. Questa violenza percorre gli anni e la società, e su di essa si fonda il patriarcato. Nel libro si tratta di questa violenza del rapporto uomo-donna.  Il commissario, che è un personaggio moderno, esercita lui stesso questa violenza in un altro modo, non comportandosi in modo egualitario nel rapporto uomo-donna. A un certo punto c’è un dialogo con Lhaj. È Lhaj che lo rimette al suo posto ed esige che la smetta con il suo comportamento machista.

Nel libro fai un interessante paragone tra il ruolo storico e simbolico della minigonna e il burkini
La nostra società è perduta. E cosa le resta come referente? Le restano dei referenti che vengono da altrove. Per esempio, siamo dei musulmani sunniti (malekites). Il nostro Islam è diverso dagli altri paesi musulmani, più aperto verso la tolleranza. Però per mancanza di educazione, la sola prospettiva è nel wahhabisme (un movimento di riforma che si richiama all’Islam sunnita hanbalite), vicino al salafismo. Un Islam importato. L’educazione è dunque alla base dello sviluppo del nostro Paese, perché un Marocco che sa da dove viene, che conosce la sua storia, che conosce la sua identità, perché volete che vada a cercare un’identità importata? Il burkini viene da questo islamismo importato. Le nostre madri portavano la minigonna e le nostre figlie il burkini.

Affermi che i social hanno esaltato gli estremisti e permesso al conservatorismo di diffondersi. Che rimedi vedi a questo fenomeno?
I social-media hanno permesso questa svolta nell’oscurità, questa porta aperta al wahhabisme, non solo in Marocco ma nel mondo intero. L’uniforma della donna velata è lo stesso in tutto il mondo. È un velo internazionale che è antinomico con le libertà e dunque con il risveglio della donna. Rivendicarlo è rivendicare la sottomissione e l’inquadramento. I rimedi sarebbero di servirsi di questi social-media per richiamare i fondamentalisti ai valori universali.

Come definiresti il tuo libro? Un grido di libertà e ribellione, un atto d’accusa o entrambe le cose?
Ho scritto questo libro in un anno. Conosce l’adattamento del film di fantascienza La macchina del tempo di Georges Pal? Il personaggio che viaggia nel tempo vede cambiare il mondo attraverso la vetrina di un negozio di abbigliamento. Anch’io, dalla mia finestra, vedevo la casa di fronte. Al principio c’era una grande agenzia pubblicitaria che si chiamava Shem’s, fu rimpiazzata da una banca, la Banque Populaire, prima che una banca islamica prendesse il suo posto. In una decina d’anni, dalla mia finestra, ho visto il Marocco cambiare. In seguito, passeggiando a Casablanca, ho notato davanti a tutte le porte dei condomini una sedia, quella di un portiere.  Il suo compito era quello di guardare e sorvegliare. Infine ascoltando di straforo le conversazioni ho visto a poco a poco l’islamismo crescere. E così che è nata in me l’idea del libro. Non è a caso che ho scelto di scrivere un Thriller. C’è in effetti una specie di tensione che permette di raccontare i cambiamenti che si succedono. Finalmente, ho scelto questo serial killer, questo folle di Dio che si immagina un missionario, come pretesto per denunciare la stupidità, per denunciare la follia degli uomini. Questo libro non è un atto di accusa, ma una constatazione della deplorevole regressione della società, e un grido di libertà contro il fondamentalismo, e quello che comporta come attacco ai valori universali, ai diritti umani e alle libertà individuali.

Traduzione di Flaminia P. Mancinelli
Grazie a Bahaa Trabelsi per la disponibilità.
Le altre tappe del blogtour su La bottega del giallo Veleni e antidoti e Contorni di noir

 

Cristina Aicardi

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