La strantuliata- Fabrizio Escheri



Fabrizio Escheri
La strantuliata- Fabrizio Escheri
Ianieri
Compralo su Compralo su Amazon

Strantuliari, in siciliano, si traduce con dare energici scossoni.
Fin dal titolo dunque, “La strantuliata”, questo delizioso romanzo dell’esordiente autore palermitano Fabrizio Escheri (Ianieri Edizioni), richiama lo scossone vigoroso e deciso che costituisce la chiave di volta e l’intera orlatura che permea la storia, quando uno dei personaggi paragona l’omicidio con cui si apre il romanzo, a uno strantuluni, ossia a una scossa necessaria per dare un segnale forte a chi non vuole intendere altri metodi più blandi. E quando si tira troppo tira la corda nella terra dove l’omertà regna sovrana e i i timbuluna (gli schiaffoni) non bastano a fare capire, si dà una strantuliata. Ma se pure quella non ottiene l’effetto desiderato, allora padre figlio e spirito e santo. E come viene si conta.
Un modo di dire e di pensare tipico siciliano, come sicilianissima è l’ambientazione rurale nel 1936,  al confine tra le Madonie e i Nebrodi, in pieno regime fascista.  Nella terra dei latifondi dove il detto nenti vitti, nenti sentu, nenti dicu, è imperativo per chi vuole vivere tranquillo i suoi giorni, ieri come oggi, Blando Blasco Antonio Maria, sarà chiamato a pagare dazio per cotanta avventatezza.
È lui il trentottenne protagonista che racconta la disavventura che gli avrebbe cambiato la vita.
Nato a Sperlinga il 18 luglio 1898, autista di corriera sulla linea Licu/Sperlinga fin da giovanissimo, facendo sempre lo stesso tragitto, un brutto giorno, arrivato nei pressi del bivio di Comunello con il suo Fiat 621 modello Lusso carrozzato Bertone, che lui chiama affettuosamente la Berta, scorge proprio in mezzo alla strada qualcosa.
“Cosa si faceva uno scapolare d’estate, al centro della carreggiata di quella strada deserta. Il mantello stava lì, fermo sulla strada, coperto di polvere. No, non era un mantello abbandonato sotto c’era qualcosa. Sollevai il cappuccio dello scapolare e, finalmente, lo vidi. Il volto tumefatto e rinsecchito ma inconfondibile. Era don Tano Strippuni, il sovrastante del barone di Chibbò”.
Invece di tirare dritto si ferma e da lì si andrà a impaniare in una serie di guai dal quale sarà travolto.
Un giallo che si legge volentieri e porta il lettore indietro nel tempo, quando l’onore aveva ben altro rossore ma anche allora le passioni degli uomini non derogavano alla ragione, e il cuore si sa, non conosce padrone. Neppure in Sicilia, tra pietre e latifondi, tra spighe e falci.  
E a chi non si fa gli affari suoi, può capitare di tutto.

Cu s’affuca chi so manu, nun ave nuddu ca lu chianci.

Paradossi e menzogne, volti e maschere, innocenti e colpevoli, nobili e plebei, Chiesa e sagrestia. Una girandola di avvenimenti in cui ogni capitolo viene sigillato da un proverbio che racchiude il senso dell’ineluttabile che pagina dopo pagina s’addensa sull’incauto autista, alla cui originaria colpa di non avere tirato dritto lasciando lo scapolare col suo cadavere dove stava e facendosi gli affari suoi, si sommano altre ingenuità, che diventano colpe gravissime e mancanza di rispetto agli occhi di chi tutto sa ma tutto tace. 
Legge e Chiesa comprese.
Con questo romanzo, dove tra le righe riecheggiano echi dei grandi autori dell’isola, da Pirandello a Sciascia, da Consolo a Bufalino, senza dimenticare la giocosa teatralità di Camilleri, è stata inaugurata la collana “Le dalie nere”, la cui denominazione è un chiaro omaggio a un maestro indiscusso del genere, James Ellroy, e al suo inarrivabile capolavoro.
La dirigono due esperti di letteratura tout court: Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore, che annunciano già altri titoli allettanti.

Roberto Mistretta

Potrebbero interessarti anche...