La strategia di Bosch



Michael Connelly
La strategia di Bosch
Piemme
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La libraia dove l’ho acquistato ha detto: “Avrà qualcuno che glieli scrive”. E io: “Ma no, dai”. Certo che al ventisettesimo thriller (sì, 27, non è un errore) pubblicato in Italia il dubbio viene. Io però sono nostalgico e seriale, così da quella volta, fine anni Novanta, che scovai “La memoria del topo” in edicola, Michael Connelly non l’ho più tradito. O meglio: non ho mai tradito Bosch e suoi colleghi, trascurando invece la serie dell’avvocato Mickey Haller. L’ultimo arrivato da Piemme è “La strategia di Bosch” (titolo davvero poco azzeccato, a patto che i titoli debbano c’entrare qualcosa con la trama). Qui il vecchio detective, ormai prossimo alla pensione, è chiamato a indagare sulla morte di un mariachi. Una morte “tardiva”, valutato che il suonatore di vuvuzela crepa dieci anni dopo essere stato colpito da un’arma da fuoco, mentre si esibiva con il suo gruppo. Ad aiutare Bosch nell’indagine dell’Unità Casi Irrisolti c’è una giovane poliziotta, Lucia Soto. Prende il posto, nei nostri cuori, della figlia di Bosch, presente nella Strategia ma con un ruolo di secondo piano rispetto al penultimo romanzo (scommessa: una volta pensionato il papà, Maddi sarà la protagonista dei prossimi thriller di Connelly). E’ una piacevolissima lettura, come sempre ricca di particolari su Los Angeles e dintorni. La trama è assai compatta: molti thrilleristi in erba che fanno della divagazione un dogma, manco arricchisse la storia anzi che confonderla, dovrebbero imparare dall’ex giornalista statunitense. Il suo è un meccanismo ad orologeria. Si dirà: sì, ma Connelly ha perso lo smalto iniziale. Vero. Oppure: è diventato un po’ ripetitivo. Certamente. E poi quel dubbio: e se qualcuno glieli scrivesse? Può essere. Però… però è come ascoltare “Highway Star” dei Deep Purple e sostenere che Fedez “suona” più contemporaneo. Va bene: ma i Deep Purple , hai presente? (voto 8)

Alessandro Garavaldi

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