L’abbazia dei cento peccati



Marcello Simoni
L’abbazia dei cento peccati
Newton Compton
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Viva il feuilleton, si potrebbe dire, e i suoi maestri del genere. Infatti con la ben collaudata regola di tenere il lettore sulla corda in attesa del seguito, (e in ottima compagnia, voglio aggiungere vedi: Dumas, Balzac, ecc, ecc.), Marcello Simoni ci regala il primo volume della sua nuova avventurosa saga, L’abbazia dei cento peccati sottotitolato: La superbia. Favola cavalleresca o meglio, se si vuole, saga storica, ambientata nel XIV secolo, soprattutto nel’abbazia di Pomposa, che ospita uno degli affreschi di tema biblico più importanti e misteriosi del Medioevo italiano. Pomposa sarà protagonista più che scenario? Mah? Mistero, mistero e mistero ci promette l’amico Marcello che con un prologo da leone par lui, ci mette sull’attenti in vigile attesa di quel che verrà. Tanta storia e tante avventure. Si comincia con un incontro, non storicamente provato ma plausibile, tra tre importanti personaggi del secolo. E non sono noccioline, nossignori! Si tratta infatti di Giovanni re di Boemia o per me meglio Jean l’Aveugle di Lussemburgo ( figlio di Enrico VII, il prode dantesco Arrigo, morto a Buonconvento, poi bollito per estrarne le ossa che sono tumulate nel duomo di Pisa). E infatti Simoni lo cita in seguito con il lussemburghesissimo nome Jang de Blannen, di suo figlio Karel, meglio conosciuto forse come il grande imperatore Carlo IV (anche se non mi pare tanto simpatico a Simoni) e del cardinale Bertrand de Pouget, legato pontificio papale di Giovanni XXII in Lombardia, Romagna ecc., tra il 1320 e il 1334, che costruì il primo dei castelli di Porta Galliera distrutto dai bolognesi (che ne sfecero ben cinque). E da quell’incontro al quale partecipa, benché torturato e mezzo disarticolato, anche il monaco Facio (che fu realmente un pessimo priore dell’Abbazia di Pomposa, finche ne fu cacciato con l’accusa di malversazione) parte la storia. Perché Facio ha qualcosa che gli altri vogliono. E, come vi dicevo, tutto parte di là, da un patto scellerato, o almeno pare, per impadronirsi e condividere un enigma (libro, testo, reliquia o altro?) dal nome Lapis Exilii e un certo Codex Millenarius. Tredici anni dopo, nell’agosto del 1346, il valoroso cavaliere francese, Maynard de Rocheblanche, sopravvissuto alla terribile battaglia di Crecy, riceve proprio dal re di Boemia in fin di vita, un misterioso rotolo di pergamena e gli giura di difenderlo a costo della vita. Il testo scritto, una specie d’indovinello, conduce al Lapis exilii. Per non cedere l’inestimabile documento, Maynard deve fuggire. Si recherà prima a Reims, presso la sorella Eudeline, badessa del convento di Sainte-Balsamie, poi nel monastero di Mont Fleur e di là verrà spedito all’abbazia di Santa Maria di Pomposa alla ricerca di Facio il benedettino traditore. Fingendosi un frate anche lui partirà per l’Italia, accompagnato da Isabeau, una ragazzetta che ha salvato, una specie di paggio in gonnella. Là, con l’aiuto dell’ abate di Pomposa, Andrea di Fano (realmente esistito), e del giovane pittore, Gualtiero de’ Bruni (inventato da Simoni), cercherà di arrivare alla verità su Lapis Exilii. L’unico a conoscerla è Facio , l’ex priore di Pomposa, scampato alla tortura. Ma…. Non posso dire altro. Posso solo citare le parole di Marcello Simoni: … si sa ben poco sul ciclo coevo dedicato al Vecchio e al Nuovo Testamento, compresa l’Apocalisse (magari anche l’Apocalisse fa parte dell’enigma?) presente sulle navate maggiori. … Nessuno tuttavia è riuscito ancora a risolvere il dilemma. Da qui l’idea di scrivere un romanzo dedicato alle peripezie del misterioso artefice del capolavoro (Gualtiero de’ Bruni?) di cui questo primo volume descrive soltanto l’inizio. Appuntamento al secondo! A presto!

Patrizia Debicke

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