L’amore bugiardo



Gillian Flynn
L’amore bugiardo
rizzoli
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Mentirei se dicessi che non mi ha ipnotizzato. E sarebbe un complimento. In linea con l’intera struttura narrativa del romanzo che si fonda su una sequenza di menzogne. L’unica verità si trova all’inizio. Tra Amy e Nick è amore a prima vista. Sbocciato, complice una festa invernale, nella cornice della grande mela. Nevica e i due si scoprono fidanzati prima di razionalizzare l’accaduto. Trascorrono cinque anni. E le crepe del rapporto perfetto vengono a galla. Colpa di un trasferimento nel Missouri che impone a una metropolitana di fare i conti con l’ottusa realtà di provincia e a Nick, un viaggio nel suo passato. E’ allora che il marito smette di vedere nella bambola perfetta che aveva sposato, la complice assoluta, cercando conferme in una studentessa che sbiadisce nel confronto con la moglie. Ed è da quel contrasto che si innesta una catena di dubbi. Dalle prime pagine sembra che il fulcro sia tutto nella domanda lanciata dall’autrice per adescare il lettore che rimane in religiosa attesa della risposta. Un meccanismo alla Grisham. Qui la domanda è “Cosa è successo a Amy?”
Dopo un attimo di stasi, in cui il tempo sospeso mette in luce i primi meccanismi di una coppia scoppiata, il marito finisce ben presto nel registro degli indagati. Ma non è l’inchiesta il meccanismo del romanzo che impone, invece, al lettore un viaggio nelle dinamiche insite in ogni coppia, in cui essere e apparire difficilmente coincidono. E coesistono, invece, dietro una facciata di apparente moralità.
Per tutta l’opera, dalle prime pagine, il protagonista Nick mente. È il filo conduttore che srotola pagina dopo pagina. Correlato alla sua prossemica. Appare sempre troppo freddo, si sforza di apparire meglio, dice cose che lo facciano apparire nel modo giusto rispetto a ciò che gli sta succedendo. Rivela segreti un po’ per volta, da perfetto narratore inaffidabile, ingaggiando con il lettore la gara allo smascheramento. È un meccanismo impareggiabile perché ricalca quello che succede nella vita. Diciamo cose che non pensiamo, pensiamo cose che non diciamo, mascherandoci dietro a facciate che non ci appartengono. Poi c’è un twist: nella seconda parte, un’inversione di tendenza assoluta distrugge tutta l’architettura della prima. E la vittima (apparente) diventa il carnefice (reale) a discapito della dissezione dei protagonisti. Le cui bugie costituiscono l’unica verità dell’intero romanzo. D’altronde, come si trova a dichiarare la protagonista, “Non si dice, forse, che a forza di ripeterle diventano vere anche le bugie?”

bea buozzi

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