L’aria che tira: Il caso Lavorini

Nuovo appuntamento con L’aria che tira, la rubrica di approfondimento di Adele Marini
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Il caso Lavorini. Il tragico rapimento che sconvolse l’Italia
Chiarelettere
Il 31 gennaio 1969 Ermanno Lavorini, un ragazzino di dodici anni, uscì dalla sua casa nel centro di Viareggio verso le tre del pomeriggio. Voleva arrivare fino alla piazza per vedere le giostre che si stavano allestendo in vista del carnevale.  Alle 17,40 la famiglia, già inquieta per il ritardo, ricevette una telefonata: «Preparate quindici milioni». I Lavorini avevano un negozio di stoffe in centro. Erano moderatamente benestanti, ma non ricchi. Trovarono i soldi ma il bambino non tornò più.
Le ricerche cominciarono quella sera stessa. Dapprima si mossero gruppi di volontari, poi arrivarono le forze dell’ordine con i cani che puntarono dritti verso la pineta viareggina. Di Ermanno, nessuna traccia fino all’inizio di marzo, quando il corpo del bambino fu dissepolto da un cane. Era stato interrato in una buca poco profonda sulla spiaggia di Vecchiano, a diversi chilometri da Viareggio. Stando al risultato dell’autopsia, la morte risaliva a poche ore dopo il rapimento e questo significa che quando arrivò la telefonata a casa Lavorini, Ermanno era già morto.
Un caso di cronaca nera, straziante come tutti quelli in cui sono coinvolti bambini? Il caso Lavorini fu molto di più. Le indagini aprirono una finestra su un ambiente piccolo borghese apparentemente timorato ma in realtà moralmente degradato al punto da fingere di non vedere che nella pineta, praticamente sotto gli occhi di tutti, c’era un via vai di pedofili e ragazzini disposti a vendersi per pochi spiccioli.
Molti ragazzini, ma non Ermanno!
“Ragazzi di pineta”: i giornalisti, sempre smaniosi di appiccicare etichette chiamarono così gli adolescenti che incontravano adulti sotto i pini. Nell’Italia sessuofoba e conformista del 1969 quegli incontri erano ben noti nella zona ma nessuno era disposto ad ammetterlo. L’omicidio squarciò il velo di perbenismo ipocrita, mostrando al mondo la faccia turpe di una cittadina ridotta a una specie di Sodoma.
Inutile dire che l’omicidio di Ermanno fu trattato da subito come un delitto a sfondo sessuale con grave pregiudizio per le indagini, perché le forze dell’ordine imboccarono una sola pista: quella dei pedofili, e non vi si discostarono più, arrivando a punto a destabilizzare e ad accusare un’intera comunità, causando perfino un suicidio.
In realtà la verità vera era sempre stata sotto gli occhi di tutti e a scoprirla non furono polizia e carabinieri, ma un giornalista: Marco Nozza de Il Giorno, il primo a scorgere la chiave per interpretare quello strano sequestro seguito dall’omicidio e a capire che dietro al rapimento c’erano motivazioni ben più complesse del “fare soldi facili” col riscatto.
Il”caso Lavorini” ebbe rilevanza internazionale in gran parte proprio a causa della connotazione scandalosa che gli fu attribuita. La storia degli incontri in pineta era così stuzzicante per il grande pubblico, così ricca di dettagli turpi e di colpi di scena, da metter in moto una vera corazzata mediatica. Ventisette trasmissioni televisive, trecento passaggi radiofonici, ventidue inviati speciali dalle principali testate italiane, corrispondenti stranieri … Le indagini durarono anni e fecero finire nel tritacarne giudiziario persone innocenti. La giustizia e l’intera comunità di Viareggio si ritrovano ostaggio di una banda di giovanissimi criminali che rilasciarono “confessioni” degne della peggior letteratura pornografica. Confessioni, di continuo ritrattate e modificate che si contraddicevano, ma puntualmente prese per buone a causa della smania di chi indagava di risolvere il caso guadagnandosi i galloni.
Ci vollero molti anni prima che il fatto venisse incasellato nella giusta cornice: quella politica, che fin dagli inizi era abbastanza chiara ma che nessuno voleva vedere.
Il 1969 è l’anno delle contestazioni e della bomba in pazza Fontana e un filo nero che legava la mare di tutti gli attentati e il sequestro Lavorini c’era ed era visibile. Purtroppo allora sembrava inammissibile a chi conduceva le indagini che nella regione più rossa d’Italia stessero nascendo e si stessero organizzando formazioni di estrema destra smaniose di armarsi e di sferrare un attacco allo Stato.
Segnaliamo questo libro, che si legge come un romanzo ma che non cela nulla dell’indagine, perché è emblematico di come si riesca a pilotare la giustizia. Ricostruito da Sandro Provvisionato, grande giornalista investigativo scomparso lo corso anno, rigorosamente sugli atti d’indagine, sulle testimonianze a caldo e sui ricordi di chi c’era, nonché sull’”aria che tirava” in quel lontano 1969, il caso Lavorini è un vero e proprio thriller che, se fosse un romanzo, frutto della fantasia di uno scrittore di noir, apparirebbe eccessivo per i troppi colpi di scena e la morbosità che impregnava non solo le risultanze investigative  processuali, ma anche e soprattutto le ricerche sul campo degli investigatori e le domande rivolte ai sospettati, concepite in modo da orientare le risposte.
Una volta iniziato, questo libro non si può più lasciare fino a quando non si è terminata l’ultima pagina.

Adele Marini

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