L’aria che tira: L’altra America d Woody Guthrie

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L’altra America d Woody Guthrie
Prefazione di Marino Severini dei Gang
Jaca Book

Daniele Biacchessi, scrittore, editorialista e commentatore politico del Sole 24, titolare di una striscia quotidiana su Radio 24, è uno di giornalisti d’inchiesta più letti e apprezzati. Il segreto del suo successo sta tutto in tre parole: lui ci crede. Crede all’importanza di tenere viva la memoria del passato in questo paese di immemori beati. Crede nella forza del giornalismo fuori dalle logiche di bottega e dagli interessi elettorali. Crede che l’oggi e il domani dipendano in larga misura dalla conoscenza critica dell’ieri. Dunque, cosa c’entra con la nostra storia e con le nostre vicende questo libro su Woody Guthrie, (nome completo Woodrow Wilson Guthrie), un cantautore folk blues americano, figlio della grande depressione, un menestrello nomade che, armato solo della sua chitarra e della sua genialità, ha girato l’America nella prima metà del secolo scorso per dare voce, con la sua musica e le sue ballate, ai poveri ai diseredati, alle migliaia di miserabili che, dopo il crollo di Wall Street che mise l’economia americana in ginocchio, provocando un’ondata di disoccupazione e di miseria senza precedenti, giravano il grande Paese un po’ a piedi e un po’ rubando, quando potevano, passaggi ai treni per inseguire un’improbabile futuro?
La risposta è semplice: perché rievocare oggi, in pieno trumpismo arrembante, in presenza di una crisi finanziaria mondiale, un mito come Guthrie, un artista che sulla chitarra aveva inciso il suo motto: This Machine kills Fascists, significa risvegliare la memoria collettiva, ricordare a tutti che è esistita una cosa che oggi suona quasi come un’ingiuria: la “lotta di classe” pacifica ma così tenace da dare, alla lunga, quei frutti che negli ultimi anni sono stati prima negati e poi scippati.
Woody Guthrie era coraggiosamente e orgogliosamente militante comunista (altra parolaccia ingiuriosa!) in un paese che ai comunisti dava la caccia come ai peggiori traditori. Ha sfidato il maccartismo portando di città in città la voce di chi non l’aveva, stando idealmente ma anche fisicamente al fianco dei proletari nelle loro lotte contro il potere. Ha cantato l’altra America, quella fuori dal sogno e dal mito del self made man. L’America non solo dei poveri, ma  degli impoveriti dalla rapacità dei ricchi.
Woody Guthrie è stato tutto questo e non è un caso se ai suoi blues parlati si sono ispirati, negli anni successivi, cantautori come Bob Dylan, Bruce Springsteen, Joe Strummer, Joan Baez, John Lennon… mentre la sua ballata più celebre This Land is your Land  è e rimarrà sempre un vero e proprio manifesto della protesta sociale e della libertà.
Il libro di Daniele Biacchessi (a cui è allegato il cd del film omonimo prodotto e realizzato dallo stesso autore con musiche originali e i magici disegni di Giulio Peranzoni) segue il “cantastorie” Woody lungo le strade polverose della grande depressione e dell’indifferenza, sempre “idealmente accanto a quei milioni di senzatetto che tra gli anni Trenta e Quaranta “saltano sui treni in corsa” sperando in un domani migliore, “passano di città in città in cerca di un lavoro o di un pezzo di pane raffermo, fuggono dalla polizia, dai posti di blocco ferroviari, dal gelo, dalla pioggia”, come scrive Biacchessi nell’introduzione. E, aggiungeremmo, fuggono dalla solitudine e dalla disperazione che solo una canzone di lotta riesce mitigare.
Il lungo viaggio di Woody parte da Pampa, nel Texas rurale dove si era sistemato dopo il primo matrimonio che gli aveva dato tre figli. All’epoca aveva ventitré anni e davanti a sé un futuro incerto quando, nell’aprile 1935, dopo una lunga siccità si verificò uno strano fenomeno: quello della Dust Bowl , la “conca di polvere”, una specie di tempesta asciutta che si abbatté sulle pianure degli Stati centrali, dal Canada al Nevada. Una vera bomba di polvere innescata da un vento rabbioso e causata in larga misura dalla pessima gestione dei terreni agricoli, inariditi dallo sfruttamento fino a sfarinarsi.
Fu un disastro di proporzioni apocalittiche: la polvere portata dalle raffiche ricoprì tutto: fattorie, paesi, macchinari, animali, finendo l’opera distruttiva iniziata dalla siccità. Allora ricominciò l’esodo che era seguito alla grande depressione del ‘29: migliaia e migliaia di persone dovettero mettersi nuovamente in viaggio con mezzi di fortuna per cercare di sopravvivere in qualche modo. Woody Guthrie fa lo stesso: lascia moglie e figli con la chitarra a tracolla per raggiungere la California, guadagnandosi l’indispensabile per sopravvivere lungo la strada, cantando e suonando nei bar e sulle piazze.
Le sue, sono canzoni on the road, spesso improvvisate lì per lì. Parlano di persone, di vite distrutte, di speranze e di desideri in un paese tanto ricco quando irraggiungibile. Le stesse storie narrate da John Steinbeck in Furore.
Un libro e un film che, fatte le debite distinzioni, sono straordinariamente attuali perché lasciano intravedere il baratro verso cui ci sta portando il liberismo selvaggio e l’iniqua distribuzione delle risorse.

 

Adele Marini

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