L’aria che tira: Il genio infelice – Carlo Vulpio

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Il genio infelice
Il romanzo della vita di Antonio Ligabue
Chiarelettere

Di essere un genio, lui non ci ha mai creduto. E non lo hanno creduto neanche gli altri, i suoi compaesani della Bassa nell’età matura e gli svizzeri con cui aveva vissuto fino all’adolescenza. Quando venne scoperto da un critico d’arte aveva sessant’anni e gliene restavano da vivere solo cinque. Fino a quel momento, arrivato nel 1961, quando la fama gli esplose in mano, per tutti era stato Toni el matt, quello che dipingeva animali che non aveva ai visto: tigri, leoni, zebre e gazzelle, così vivi che sembrava volessero uscire dalla tela e balzare addosso a chi guardava.
Toni dipingeva e poi regalava i quadri, del tutto inconsapevole di fare ricche le persone che lo disprezzavano. Chi, negli anni della miseria, lo aveva sfamato con una minestra e un bicchiere di vino finì per ritrovarsi padrone di una miniera d’oro con le tele accumulate nei solai o appese alle pareti di fumose osterie.
Toni el matt è Antonio Ligabue, per l’anagrafe Antonio Laccabue, nato a Zurigo alla fine dell’Ottocento da madre nubile costretta a emigrare per la vergogna, adottato dall’uomo che la sposò e gli diede il cognome per poi cacciarlo quasi subito dalla famiglia, non si sa se per gelosia o perché fin da piccolo quel ragazzino strano, visionario e taciturno aveva già stampati in faccia i segni di una genialità che esprimeva con disegni che nessuno capiva.
Ligabue oggi è considerato il Van Googh italiano, uno dei maggiori artisti del Novecento. Le sue tele valgono centinaia di migliaia di euro, sono esposte nei musei di tutto il mondo, eppure, nonostante avesse cominciato a disegnare molto presto, quando era un bambino e conservava i suoi schizzi in una scatola, la sua esistenza è stata quasi tutta un inno alla povertà. Povertà in tutti i sensi: di risorse ma soprattutto di affetti e di amicizie.
Nella vita, fino all’ultimo, Toni fu sempre solo, condannato a sognare una compagnia femminile senza mai averla, perché con quegli occhi un po’ da spiritato alle donne faceva paura e forse anche perché la solitudine gli aveva guastato la testa senza scampo.
Un’esistenza tormentata. E così strana, inconsueta, infelice perché percorsa dal marchio del genio, tanto da meritare uno sceneggiato televisivo nel 1977 e un volume dell’esclusiva collana “I segni dell’Uomo” di Franco Maria Ricci. Un’esistenza che pare un romanzo di Dickens, senza scampo a causa delle circostanze della sua nascita ma anche della sua arte. Fosse stato un ragazzino qualunque, uno come tanti, avrebbe condotto una vita grama ma non miserabile. Avrebbe lavorato nei campi o in fabbrica. Si sarebbe sposato, forse avrebbe assaggiato la sua fettina di modesta felicità e il mondo non avrebbe mai sentito parlare di lui.
Invece lui era el matt, uno che vedeva cose che non c’erano e le dipingeva. Un po’ come Salgari che raccontava l’India senza essersi mai mosso dalla sua stanza.
In questo libro, scritto come il romanzo che è stata nella realtà la vita di Toni senza però concedere nulla alla fiction, ci sono l’uomo e l’artista: due anime in un corpo solo. Carlo Vulpio, una firma del Corriere della Sera, la racconta con uno stile visuale che anticipa il film Volevo nascondermi, dedicato proprio al pittore che sul grande schermo avrà la faccia di Elio Germano e uscirà nelle sale entro quest’anno.
Un libro che si legge davvero d’un fiato e quando finisce se ne vorrebbe ancora.

Adele Marini

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