L’aria che tira: Pecunia non olet. Il caso Finmeccanica

41Cm2HmkIKLAlessandro Da Rold
Pecunia non olet.
La mafia nell’industria pubblica. Il caso Finmeccanica
Chiarelettere

Cosa diceva Giovanni Falcone? “Seguite i soldi, troverete la mafia.” Lui i soldi li ha seguiti dappertutto: nei forzieri svizzeri e nei paradisi fiscali di tutto il mondo. La mafia l’ha trovata, l’ha combattuta e per questo ha perso la vita nella strage di Capaci di cui ricorre, il 23 maggio, il ventisettesimo anniversario.
In questo libro, si parla appunto di mafia. Non di quella vecchia, degli abigeati e dei taglieggiamenti, degli agguati mortali e delle teste di animali fatte trovare sulle soglie delle case a scopo intimidatorio. Si narra di quella “asciutta”, quella apparentemente senza sangue ma non per questo meno pericolosa perché non si limita a stritolare questo o quel commerciante riottoso, ma strangola economicamente un intero paese: il nostro.
E’ la mafia dei colletti bianchi, dei boss imprenditori che trattano con le grandi imprese e, per le imprese, con gli Stati esteri. Che siedono nei consigli di amministrazione con cariche di amministratori delegati, di consiglieri, di investitori. Gente vestita Caraceni, con cravatte Marinella e cappelli Borsalino, unghie curatissime ed eloquio spesso del tutto privo di accenti. Gente che, come è narrato in queste pagine, ha trascinato negli affari della criminalità mafiosa anche la maggior impresa dello Stato: nientemeno che Finmeccanica.
Ma come è arrivato a questo spaventoso intrico di interessi contrapposti e affari senza scrupoli Alessandro Da Rold, un bravissimo cronista di giudiziaria economica e politica per testate prestigiose, cartacee e on line, fra cui “Il Riformista”, “Lettera 43”, “L’Inkiesta”?
Semplice, seguendo i soldi. Quelli di Salvatore Riina, deceduto il 17 novembre 2017 nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma. E quelli di Bernardo Provenzano, deceduto il 13 luglio 2016 all’ospedale San Paolo di Milano, entrambi condannati all’ergastolo in regime di 41bis. Soldi custoditi, maneggiati e investiti da colui che è accusato di essere stato il “cassiere” di entrambi: don Vito Roberto Palazzolo, nome d‘arte criminale Robert von Palace Kolbatschenko e qui ci starebbe bene una risata se la vicenda non fosse drammatica. Come ha fatto un personaggio ricercato in tutto il mondo a sfuggire per anni a mandati di cattura internazionali con una faccia conosciuta e con un nome che è la traduzione letterale di quello che sta sui mandati di cattura?
Esperto riciclatore di denaro, uomo molto vicino ai principali narcotrafficanti italo-americani, nonché custode del tesoro mafioso, don Vito Roberto Palazzolo ha trattato gli affari di Finmeccanica per conto del nostro paese, incassando e facendo guadagnare ai suoi referenti enormi profitti. E’ stato seguendo le tracce di don Vito, già inquisito da Giovanni Falcone, che l’autore è riuscito a tracciare la mappa del denaro a lui affidato. Denaro acquisito illegalmente, sporco del sangue degli omicidi, delle estorsioni e di tutto quello che le menti criminali di Cosa Nostra hanno saputo monetizzate, lavato che più bianco non si può e arrivato a lambire Finmeccanica, un’azienda di Stato, anzi due visto che nel 2000 si è fusa con Agusta, che produce armamenti pesanti e velivoli da guerra per governi di tutto il mondo, belligeranti e no, compreso il Sudafrica di Nelson Mandela, e che li vende sfidando talvolta gli embargo.
Dunque, non è difficile immaginare come lo Stato Italiano, che sulla carta costituzionale “ripudia la guerra”, nei fatti abbia sostenuto con carichi di morte gli Stati dei massacri di massa. Una panoramica oggi atroce.
Ma come è stato possibile tutto questo?
Semplice: applicando il metodo mafioso della corruzione e dell’intimidazione, dei ricatti e dei veti incrociati, che ha trovato dall’altra parte funzionari e politici che avrebbero dovuto respingere le mazzette con sdegno, resistere alle intimidazioni e non cedere ai ricatti. E che invece hanno inserito la mafia imprenditrice nel circuito degli affari internazionali, sdoganandola come partner affidabile di altissimo livello, quasi appartenesse al mondo imprenditoriale pulito. Perché, appunto, “pecunia non olet”.
La storia di Vito Palazzolo e quella della più importante impresa di Stato, Finmeccanica, fatta quasi a pezzi, narrate parallelamente col tono, l’eleganza e la fluidità delle migliori spy story, si intrecciano a quella di Francescomaria Tuccillo, ex manager di Westland in Sudafrica, avvocato e uomo perbene, che ha pagato sul piano personale le sue preziose rivelazioni. E, naturalmente, incrocia le inchieste di diversi magistrati coraggiosi che hanno cercato risposte a come sia stato possibile a un latitante di quel calibro, già condannato in via definitiva a nove anni per l’affaire “Pizza Connection”, sedere, mentre era in fuga, nelle stanze più prestigiose del mondo insieme a emissari dei governi, ministri e capi di Stato. Un soggetto dalle mille facce, noto alle polizie di tutto il mondo (anche ai servizi segreti, ma questa è un’altra storia che non si chiarirà mai del tutto), vissuto alla grande e arrestato solo nel 2012.
Una storia sorprendente, da leggere ripetendo però a sé stessi come un mantra: non è una fiction, è tutto vero!

Adele Marini

Potrebbero interessarti anche...