Le donne del noir: intervista a Marilù Oliva

Una donna minuta, non particolarmente bella, anzi quasi bruttina, Elisa Guerra (la Guerrera) non è una super donna. Vorrebbe diventare una criminologa, ma tra un esame e il suo lavoro come pony-express ogni tanto la sua fiducia in sé vacilla. Non è una persona che non ha paure e il cui futuro è roseo.
Sono proprio queste sue debolezze, il suo arrancare su un motorino per consegnare la milionesima pizza per poter pagare l’affitto a renderla più reale. Una così potrebbe essere mia amica. Trent’anni con un lavoro mal pagato, un sogno che non vuole abbandonare e per cui continua a sgobbare sui libri. Zero prospettive e due passioni che la mantengono viva: la capoeira e la salsa.
Lei è un po’ invaghita dell’ispettore Basilica, con cui continua ad incontrarsi e risolvere casi. Lei è una delle nuove donne del noir italiano, una di quelle che vuole decidere la sua storia e che non vuole semplicemente assistere in un angolo mentre qualcuno la salva o la condanna. È promiscua, bugiarda – a volte –, neanche troppo simpatica (ma la simpatia è spesso sopravvalutata).

La scrittrice Marilù Oliva è l’autrice che ha ideato questo personaggio e con lei continuiamo la ricerca sulle nuove figure femminili del noir. Donne che non vogliono più identificarsi con vecchi stereotipi.

Come vede le donne nel noir moderno?
Vedo il noir moderno drammaticamente spaccato in due: da un lato la tradizione, dall’altro l’innovazione. Autori che osano, che scrivono con grinta libri che resteranno. In testa Maurizio de Giovanni, Massimo Carlotto, Romano De Marco, Matteo Strukul, Rosa Teruzzi, Susanna Raule, Gabriella Genisi e la lista non finisce qui. Poi, un’autrice che per me è stata una vera e propria rivelazione: la tedesca Simone Buchholz. Una bomba.

Perché è così complicato creare delle protagoniste noir?
Non è tanto insolito scegliere una donna come voce narrante. È difficile piuttosto cercare di proporre tipologie differenti di protagoniste femminili, perché gli scrittori sanno che i lettori – se si esclude una nicchia di lettori esigenti che amano essere stupiti – sono generalmente affezionati a determinati topoi narrativi. Se tu scrittore glieli stravolgi, non sempre quest’operazione viene ben accettata.

La Guerrera è una tipologia di donna molto distante dai modelli comandati..
Perché non è bella, non è alta, né longilinea, né delicata o elegante, non è materna, non è dolce, ma anzi è spigolosa. Ha vizi che il lettore preferisce vedere appiccicati a un uomo (l’alcol, ad esempio).
Senza contare che La Guerrera ha con il sesso un rapporto assolutamente libero e istintivo, si porta a casa i mulatti che le piacciono, non concepisce l’idea di un rapporto stabile e non crede nell’amore (tanto meno nella famiglia, di cui non ha beneficiato).

Cose sconvolgenti per l’Italia…
Questo in un paese cattolico, benpensante come il nostro e ad alto tasso di femminicidi (femminicidi e cultura maschilista sono connessi), può risultare irritante. Meglio una bambolina o una donna dolce o una moglie accogliente.
Di contro, però, la nicchia di lettori esigenti ha apprezzato questa figura e, anzi, ama sperimentare nuove possibilità. Per fortuna i nostri destinatari sono multipli.

 Quindi crede che ci sia stato un cambiamento rispetto al passato?
Credo che qualcosa stia cambiando, anche grazie agli autori sopra citati e a un gruppo nutrito di lettori sensibili.

 Spesso le descrizioni delle donne noir sono distanti dalle donne contemporanee? Perché?
Dipende. È una questione di rappresentazione: si tratta talvolta di riproduzioni forzate che procedono sulla falsariga dei modelli mediatici. Ma anche in questo caso, per fortuna, non tutti vi si adeguano. Penso alle meravigliose, complete, vivissime figure femminili di Maurizio de Giovanni, che travalicano la storia e le emozioni per giungere intatte e genuine dritto al cuore dei lettori.

 Perché ha scelto di creare mettere al centro del suo lavoro una donna?
La Guerrera è l’epicentro di una trilogia (ed. Elliot), ma altre volte ho scelto di narrare il punto di vista di un uomo (con “Questo libro non esiste”, ad esempio, o con “Repetita”) o una dimensione corale (penso a “Lo Zoo”), questo perché mi piace molto mettermi in gioco e perché continuo a credere che la scrittura non abbia sesso. Nella trilogia della Guerrera ho pensato a una donna perché mi piaceva l’idea e anche perché son convinta che sia necessario proporre altre soluzioni oltre alla classica narrazione di personaggi femminili ancorata ai cliché. Quindi ho trascurato la figura della femme fatale o quella della bellona di turno per concentrarmi su una donna più quotidiana, più sincera e, quindi, complessa.

 La sua Elisa è una donna che potresti conoscere al supermercato o al corso di capoeira. Perché ha scelto proprio lei e non Basilica come protagonista?
Elisa non è affatto senza macchie: ha diverse colpe, diversi vizietti e diverse passioni. Beve come un cubano, fuma, balla allo sfinimento, talvolta ruba, fa sesso promiscuo, intercala con un sacco di parolacce. È una provocatrice. È molto più interessante dell’integerrimo Basilica, perché i lettori sono stuzzicati più dai difetti che non dalle perfezioni.

Com’è nato il suo personaggio?
La Guerrera esisteva già, insieme a Catalina, in un manoscritto redatto parecchi anni fa. Si trattava di una storia esistenziale di amiche, ripresa dalla realtà. In Elisa Guerra c’è un po’ di quello che ero io quando andavo a ballare, ovviamente estremizzato per esigenze narrative. C’è la mia stessa rabbia di allora verso le prepotenze, c’è la stessa fatica che ho provato in situazioni di precariato. Fisicamente parlando, La Guerrera è piccolina come me. Ovviamente i fatti e i personaggi (a parte Catalina, che esiste ed è stata riadattata) sono tutti inventati, però volevo puntare i riflettori su una ragazza che si è trovata – sola – alle prese con un mondo non facile e questo è un dato autobiografico.

Cose ne pensa del paragone che alcuni hanno fatto tra la sua Guerrera e Lisbeth Salander, l’eroina di Stieg Larsson?
La cosa non mi dispiace, però Lisbeth – che io amo molto – non è il mio modello di riferimento. Lisbeth è un personaggio fuori dall’ordinario, mentre la mia Elisa è una donna di tutti giorni, imperfetta, con problemi legati alla quotidianità, al lavoro. L’unico modello che avevo in mente quando inventai questo personaggio è la mia eroina dei tempi d’infanzia: Lady Oscar. Elisa è una guerriera come lei, come lei è un maschiaccio, è coraggiosa, spavalda all’occorrenza, la immagino con la stessa voce e come lei si fascia da sola le proprie ferite.

Com’è il mondo del noir per un’autrice?
Non è facile. Un mondo considerato ad appannaggio maschile, come dimostrano spesso gli esiti dei premi letterari e i dati di vendita. Ma qualcosa sta migliorando, sono speranzosa: anche se con l’immaginazione cammino spesso nell’oscurità, punto sempre allo spiraglio di luce che si intravede in fondo al percorso.

Questo distacco tra noir e donne è solo italiano?
Non sono così esperta sulla letteratura internazionale per fare affermazioni definitive. Posso dirti però che Robas Ribas, apprezzata giallista spagnola, mi ha raccontato che nel suo paese le scrittrici subiscono una discriminazione a volte palese, a volte più sotterranea. Qualche anno fa si sono mobilitate in massa per rispondere sui social a un’affermazione sgradevole e machista di un loro collega.
Stessa cosa, però, non mi sembra accada nei paesi anglosassoni. Credo che dipenda dal contesto e dal background storico.
Per fare un altro esempio, in Germania mi pare ci sia, proprio in questo periodo, un movimento interessante. Come dicevo sopra, ho scoperto da poco Simone Buchholz, una vera e propria rivelazione, che ha creato una protagonista originalissima e fuori dalle righe: Chastity Riley, una donna scanzonata che riempie le pagine e che finalmente esce dai cliché della femme fatale o della donnette-cornice che tanto piacciono al genere.
Insomma, credo e spero che le cose, molto lentamente e con pazienza, stiano cambiando.

Milanonera ringrazia Marilù Oliva per la disponibilità

 

 

Eleonora Aragona

Potrebbero interessarti anche...