Gesuino Némus – L’eresia del Cannonau



Gesuino Némus
Gesuino Némus
Elliot
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Ritornare a Telévras è ritornare a casa. Lo sa bene chi ha già avuto modo di addentrarsi  nelle stradine del paesino sardo, idealmente collocato da Gesuino Nemus nell’Ogliastra. Chi ha avuto modo di saggiare la consistenza dei suoi abitanti. Gente spigolosa? Tutt’altro. Allegri, autoironici, veraci. Forse sarà merito anche del Cannonau e di quell’atmosfera goliardica che si respira nel bar di Samuele, dove ogni occasione è buona per brindare. E il “Cannonau&Basta” continua a fare da sfondo anche alle tragicomiche vicende narrate in “L’eresia del Cannonau”.
Questa volta a mettere in allarme il piccolo borgo è la misteriosa scomparsa di una bambina. È la figlia di una coppia di venditori ambulanti, in Sardegna di passaggio. Vengono da lontano, dall’Africa. E la loro bambina non parla. Non solo: quando sente qualcuno urlare o un cane abbaiare non reagisce. Le ricerche, condotte dal maresciallo Ettore Tigàssu, si rivelano quindi particolarmente difficoltose e, come sempre, finiscono per intrecciarsi con la vita del paese. Una quotidianità scandita da ritmi lenti e grandi attese. Quelle per i piccoli eventi locali, come l’inaugurazione della caserma, percepiti però quasi al pari di un matrimonio reale. Attese che sanno anche di aspettative, frutto di chiacchiericci e maldicenze. Un microcosmo a cui il lettore non avvezzo ha l’opportunità di affacciarsi attraverso uno sguardo “straniero” come il suo. Quello di Ferruccio, un milanese che arriva a Telévras dopo aver scontato ventisei anni in prigione. Qui prova a ricostruire la sua vita. Qui cerca di riassaporare quella libertà di cui è stato privato (o si è privato?) per lungo tempo.
I suoi maldestri tentativi di entrare a contatto con la gente del luogo, di acquisirne la mentalità si scontrano con una illogicità di fondo che permea anche l’evolversi delle vicissitudini narrate. È il caso, sono le circostanze a condurre verso la risoluzione. Non le indagini. Perché qui preponderante è il senso di comunità e a emergere sono valori quali solidarietà, fratellanza, collaborazione. Il piacere di conoscersi, dello stare insieme, del ridere insieme. Qui lo “straniero” c’è, ma solo a parole. Perché a fatti ci si aiuta tutti, indistintamente. Senza guardare il colore della pelle o la storia personale. Qui si sparla dell’altro, sì. Ma quando c’è da muoversi, da agire, per l’altro, lo si fa senza pensarci due volte. Tutti, nessuno escluso. Persino l’arzillo centenario Aedo, la memoria storica di Telévras. E “Bregungia”, che in sardo sta per “Vergogna” (e se si sceglie di ribattezzare un cagnolino con questo nome un motivo c’è).
Un paese che va in subbuglio, quando arrivano le televisioni di tutta Italia. Ma sempre pronto a inseguire e difendere le proprie tradizioni, impermeabili al tempo e a ogni eventuale contaminazione esterna, anche in giorni come questi dove tutto tecnologicamente e culturalmente corre molto veloce. Insomma si ride tanto a Telévras, ma si riflette anche. E con un bicchiere di Cannonau in mano, ancora meglio.

Giulio Oliani

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