Linea retta – Enrico Luceri



Enrico Luceri
Linea retta
Mondadori
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Mi preoccupo sempre quando leggo dei gialli dove le vittime sono scrittori o, come in questo caso, il ricco titolare di un’agenzia letteraria tra le più potenti in Italia, Roberto Salazar, da lui costruita con cinismo e spietatezza. Mi preoccupo perché so già che non smetterò di girare le pagine finché il sipario non calerà sull’ennesima storia dove interagiscono personaggi che ruotano attorno a quell’oggetto sacro che è il libro. Come per altro scrive l’autore, Enrico Luceri, già Premio Tedeschi nel 2008, al suo ennesimo coinvolgente romanzo, quando mette in bocca a uno dei personaggi parole che non abbisognano di essere interpretate: “Non c’è nessun amico più leale di un libro.”
Se poi tali parole sono pronunciate da un singolare scrittore di gialli, Ernesto Ruffolo, personaggio che lo stesso autore ammette di avere costruito fisicamente guardandosi allo specchio, allora il divertimento è assicurato. Luceri, come sempre, si dimostra maestro nel tessere trame lineari con pochi personaggi, giocando a scacchi coi lettori e col tempo, sfidandoli a indovinare le mosse vincenti.
Un cenno alla trama dove, a Napoli (con una veloce ma significativa trasferta romana), tornano di scena i protagonisti che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare nei suoi precedenti romanzi, il commissario Tonio Buonocore e l’ispettore capo Lina Garzya. Con loro anche l’immancabile sovrintendente, Michele Macchia, e il sostituto procuratore, Pierannunzi, rigido nel suo ruolo di tutore delle regole.  In questo nuovo romanzo emergono ancora più chiaramente le personalità e i diversi approcci alle metodiche di indagine tra Buonocore e Garzya, magistralmente presentati dal loro autore che a fine romanzo ci regala anche un ulteriore divertissement, un breve racconto dove lo stesso Enrico Luceri incontra, discute e si confronta col suo protagonista, Tonio Buonocore, sul lungomare di Chiaia.
Ma tornando ai diversi modi di pensare e di procedere tra i due investigatori, per Buonocore “Interpretare una curva significa grattare una crosta, una patina dietro la rispettabile apparenza di rapporti banali e scoprire la vera natura dei legami che uniscono i personaggi coinvolti. E a volte meravigliarsi che la convenienza nasconda segreti sorprendenti. In un’inchiesta la traccia decisiva svolazza davanti agli occhi degli investigatori, che dapprima la vedono senza riuscire a interpretarla, ma quando ci riescono è come il filo di un aquilone, afferrato e stretto con sicurezza.”
Ed ecco invece l’ispettore capo Lina Garzya alle prese coi suoi metodi. “Si stropicciò gli occhi, soffocò uno sbadiglio, puntò il cursore sullo zoom per ingrandire il trafiletto di un quotidiano di quasi vent’anni prima e fu allora che afferrò il filo dell’aquilone. Era un articolo di cronaca sul suicidio di una scrittrice di romanzi sentimentali. Il giornalista aveva ricostruito in poche righe la carriera di Siriana Valentini, autrice di successo di storie romantiche, rappresentata dall’agenzia Salazar.”
Dicevamo della trama di cui daremo solo un accenno. 
Tranciante e lapidario nei giudizi, il potente e vedovo Roberto Salazar che sei anni prima ha sposato Matilde Sierra, spagnola, attrice di teatro più giovane di parecchi anni, ha costruito la propria agenzia sul sangue degli scrittori, senza farsi scrupolo di gettare alle ortiche la carriera e anche la vita di chi, per proprie fragilità, non gli dava quello che lui voleva, come nel caso di Siriana Valentini, la scrittrice scaricata dopo gli iniziali successi.
Qualcuno cercherà vendetta per quella morte?
Una piovosa sera di fine ottobre, Salazar viene travolto e ucciso da un’auto pirata mentre attraversa la strada per gettare la spazzatura, ma le modalità dell’incidente, ovvero il cassonetto sotto casa che è stato bruciato poche ore prima e il lampione rotto da ignoti, forse per costringere l’abitudinario Salazar ad attraversare la strada, non convincono il commissario Buonocore. Quando poi l’auto, che risulterà rubata lo stesso pomeriggio, viene ritrovata abbandonata e senza impronte, i sospetti di Buonocore diventano certezze. Il commissario ha motivo di sospettare della bella moglie e del solerte avvocato, Amedeo Olivares, socio di Salazar, lestissimo ad accorrere, quasi fosse nei paraggi, e che trova nell’attico pronto a consolare la fresca vedova. Ma anche Renata Borriello, fiera assistente di Salazar potrebbe avere non pochi motivi di risentimento, ex giallista di disilluse speranze che da vent’anni sopporta le tirannie del capo. Come d’altronde il figlio di primo letto, Diego Salazar che vive a Forcella, autore di scarso talento e disprezzato dal padre.
Un romanzo insomma, perfettamente aderente alle corde dell’autore che si dipana come una linea retta, ma “osservando una linea retta con una lente d’ingrandimento, si capirebbe che è formata da tante curve, tanti rapporti imprevedibili e sconvolgenti.”
E su quelle curve Enrico Luceri costruisce con sicurezza le sue dinamiche, regalandoci descrizioni anche di personaggi minori che sono autentiche pennellate d’autore. “Buonocore notò che le tremavano le mani. Eppure un tempo doveva essere stata bella. Di una bellezza appariscente, esibita quasi con sfrontatezza. Ma comunque bella. Ora gli occhi che brillavano di una luce quasi febbrile, il corpo sfatto sotto la vestaglia, lo smalto dal colore violento sulle unghie, la cipria che copriva a stento le rughe, il vestito di scena dozzinale appeso alla spalliera della sedia malferma contribuivano a testimoniare una decadenza fisica forse irreversibile. Eppure doveva essere stata bella, un tempo.”
E gioca, Luceri, gioca divertendosi a fare balenare al lettore gli indizi che solo agli occhi dei più attenti si riveleranno risolutori, nascondendoli abilmente tra le parole, tra citazioni colte di film d’antan, autori, romanzi. O sull’unico giudizio entusiastico scritto a penna da Salazar sul retro di un romanzo pubblicato vent’anni prima.
E gioca, Luceri, gioca sulle vere identità, sugli alias, sugli eteronimi.
“Allora capisco che è il momento. Sfilo gli occhiali, chiudo gli occhi e sogno una conclusione differente. Mi rende triste sapere che sta per terminare un’altra illusione di quella macchina meravigliosa che si chiama cinema e riesce a rappresentare i nostri desideri. Costruisco un finale diverso, una lenta dissolvenza dove tutto sfuma e rabbia, odio, amore e gioia scompaiono lentamente fino a diventare solo un ricordo privo di passione.”
E infine, quando il quadro è chiaro al lettore, prima dell’ultimo colpo di scena che per chi conosce la produzione di Luceri è diventato un marchio di fabbrica, ovvero l’inevitabile punizione del colpevole, ecco l’inatteso confronto tra Buonocore e l’omicida, tra i due cacciatori di uomini che si studiano stando fermi su barricate vicine eppure lontane anni luce: “Ho trascorso la mia vita a resistere alle tentazioni, e l’unica volta che non ci sono riuscito, ho commesso un delitto. E altri tre vent’anni dopo. Sì, solo lei poteva scoprire il mio segreto. Perché noi due ci somigliamo: siamo due solitari, e in fondo ci piace esserlo. Due facce della stessa medaglia. Si ricorda che glielo dissi? Campo e controcampo, l’investigatore e l’assassino uno di fronte all’altro.”
Un gran bel giallo, da leggere.

Roberto Mistretta

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