L’infernale Quinlan

I primi otto minuti di questo capolavoro non solo del cinema di genere, ma del cinema in generale, sono tra i più memorabili della storia.
Quel genio incredibile di Orson Welles decide di presentare antefatto e protagonisti in soli otto minuti, gli otto minuti iniziali. Ma non si ferma qui.
Questi otto minuti li gira in un’unica bobina, in un unico piano-sequenza che fa venire i brividi allo spettatore.
È un inizio incredibile, che non ha pari.

E tutto il film rimarrà all’altezza delle aspettative create da questo favoloso antefatto. Orson Welles, né più, né meno. Liberamente tratto dal romanzo Badge of Evil (Contro tutti) di Whit Masterson, il film è dal 1993 conservato al National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
L’infernale Quinlan si svolge sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico.
Mike Vargas, un poliziotto messicano impegnato nella lotta alla famiglia Grandi, a capo di un imponente traffico di stupefacenti, è in luna di miele con la moglie Susie. Per caso i due assistono alla morte di un facoltoso imprenditore, la cui auto salta in aria appena attraversato il confine. La polizia americana chiama ad indagare sul delitto il capitano Quinlan, uomo dal carattere difficile e autoritario, ma anche Vargas partecipa.
Le indagini si concentrano su Manelo Sanchez, ma Vargas capisce che Quinlan ha prodotto una prova falsa e che questa pratica disonesta fa parte dei suoi abituali metodi d’indagine.
Quinlan, che è comunque convinto di servire la giustizia, sebbene con metodi non ortodossi, non prende bene queste accuse, e la rabbia lo porta a ricominciare a bere. Joe Grandi vede nella rabbia di Quinlan un’ottima occasione per liberarsi di Vargas e gli propone un’alleanza.
Il sergente Menzies, però, capisce tutto e non può più stare al gioco. Decide quindi di collaborare con Vargas.

In un finale tragico Quinlan e Menzies si uccidono a vicenda, proprio mentre giunge la notizia che Manelo Sanchez ha confessato di essere colpevole dell’omicidio del quale Quinlan lo aveva accusato: anche questa volta l’intuito del vecchio poliziotto non aveva fallito. “Era uno sporco poliziotto, ma a suo modo era anche un grand’uomo”.

Il film, dopo essere stato ri-montato dalla Universal, è per nostra fortuna ritornato alla versione originale, ma è stato tradotto, secondo la tradizione italiana del gran attore, da Touch of Evil in L’infernale Quinlan. Pazienza. Sopportiamo strenuamente.

La trama è semplice, una storia di genere noir e come da tradizione Hollywoodiana, da sempre affezionata alle regole ferree del genere, non deve sorprendere. Da subito si deve capire chi è buono e chi è cattivo, ma Welles, il migliore, e per questo stigmatizzato da tutti, non ci sta. Ma è sotto torchio, e non può permettersi un altro sgarro, allora tira fuori il meglio di sé.
Non tocca la trama, lascia una parvenza di controllo a chi crede di averlo e fa quello che vuole con i personaggi. Mette in scena gli uomini. Mette in scena il contrasto da due modi di essere poliziotto, tra due mentalità, dimenticando volutamente il poliziesco.
Il tocco del male, tocca tutti.
E Welles trasforma tutti i personaggi. L’eroico Vargas lo vuole messicano, sinonimo ancora oggi di poca fiducia, e lo vuole sempre pronto a rispondere alla chiamata del proprio lavoro, ma costretto ad abbandonare la perfetta moglie, che proprio a causa della sua perfezione si troverà nelle peggiori situazioni. Quinlan, americano e quindi giusto, lo trasforma in un essere raccapricciante: grasso, zoppo e razzista. Ma allora, con chi stare? Chi è eroe e chi antieroe? A Welles non interessa, lui mette in scena la vita, con echi un po’ Shakespeariani.

Da un’esile trama standardizzata, Welles trae un autentico capolavoro. Mette in scena personaggi shakespeariani in una terra di confine, e gioca col concetto di confine. Infatti lo si può intendere geografico, legale (la linea immaginaria che divide i due modus operandi dei poliziotti) e razziale (si mischiano le tradizioni e la nordica Dietrich diventa messicana).
Anche dal punto di vista tecnico questo film è un capolavoro. Ogni singola inquadratura è costruita per raccontare qualcosa in più, come quando verso la fine vediamo un Quinlan quasi finito e alle sue spalle c’è un quadro in cui è rappresentato un toro infilzato. Non usa il montaggio, o meglio, non usa il montaggio esterno, ma costruisce le immagini con un montaggio interno, e anziché staccare, muove la macchina da presa. Inquadra dal basso e usa grandangoli per storpiare le inquadrature. Come già aveva fatto con Quarto potere, mina le basi del linguaggio cinematografico e anticipa il futuro, quello a cui siamo abituati, ma che senza di lui, non sarebbe mai arrivato.

Un altro capolavoro, ma che sarà il suo ultimo film americano. Voto: 110 e lode. Assolutamente imperdibile.

michele comba

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