MilanoNera incontra Vito Bruschini

Dopo “The father. Il padrino dei padrini”, “Vallanzasca. Il romanzo non autorizzato del nemico pubblico numero uno” e “ La strage. Il romanzo di piazza Fontana”, Vito Bruschini si dedica a un altro delicatissimo e tragico periodo criminale del nostro paese, quello funestato dai sequestri del clan dei marsigliesi. Con “Educazione criminale” (pag. 382, euro 9,90), Bruschini, giornalista professionista, scrittore e direttore dell’agenzia di stampa GlobalPress.it, racconta la storia di Brando che a soli otto anni conosce la violenza dei gourmiers che a Cassino violentano e uccidono senza pietà e lasciano tra le vittime anche la sua sorellina e diventa un criminale del clan dei marsigliesi. Dall’orrore vissuto nell’infanzia inizia la sua formazione al crimine, alla violenza, per sopravvivere e per cercare di sfogare la sua fame di vendetta. Un thriller che sa anche di romanzo di formazione in cui l’azione scorre di pari passo con la vicenda personale di Brando. Diretto, a volte crudo, l’autore proietta la vicenda dalla fine degli anni Settanta che segna il declino del clan dei marsigliesi al dopoguerra italiano. Sono gli anni dell’infanzia e della giovinezza di Brando accanto alla madre Silvana, fino al suo sbarco da solo appena adolescente, a Marsiglia “dove il vizio e la criminalità erano la regola” e alla sua esperienza col clan dei marsigliesi, esperto in sequestri. Bruschini con un ritmo serrato che ha i tempi cinematografici fa defluire la storia del suo protagonista che rispecchia quella di tanti giovani orfani o poveri che, allettati dal guadagno facile e dalla fame di denaro, cedono alla criminalità.

Brando è davvero un criminale o è solo una vittima?

Brando, quando lo incontriamo all’inizio del romanzo, è un ragazzino dalla fervida fantasia: curioso di tutto ciò che lo circonda, si appassiona alle storie della guerra di Troia che il nonno gli racconta, insomma, se potesse andare a scuola sarebbe un primo della classe. È destinato a diventare da grande un professore, oppure un capace dirigente, ma il destino gioca altre carte per lui. La violenza degli anni della guerra e del dopoguerra sarà determinante nel farlo diventare un feroce criminale.

Thriller e romanzo di formazione, è questo il mix di generi a cui appartiene “Educazione criminale”?

Il romanzo inizia nel 1944 per arrivare agli anni Settanta. Brando ha solo otto anni, quando subisce gli abusi dei gourmiers, le truppe nordafricane comandate da ufficiali francesi. Furono loro a sfondare la linea Gustav a Montecassino. Questo evento influirà pesantemente sulla sua formazione. È la tesi centrale del romanzo. Ma Educazione Criminale è anche un thriller perché racconta i tentativi disperati del ragazzo nella ricerca dell’ufficiale francese responsabile del misfatto. È una lotta contro un fantasma del suo passato, una caccia alla Balena bianca, che inciderà pesantemente sulla sua vita.

Orfano di guerra Brando sceglie di vivere a Marsiglia. Che città era la Marsiglia di quel tempo?

Negli anni del dopoguerra Marsiglia era la capitale della criminalità  europea. Per fare un paragone era come Chicago nel proibizionismo. Da Marsiglia passava tutta l’eroina, proveniente dalla Turchia, che veniva lavorata nei laboratori alla periferia della città. I clan marsigliesi gestivano il traffico d’armi, di droga, la prostituzione, il contrabbando delle sigarette. Marsiglia era l’università del crimine e qui Brando apprende le prime nozioni per diventare uno dei più efferati criminali del continente, uno del clan dei marsigliesi.

Marsiglia ma anche Milano e Roma com’è  stato raccontare queste città del crimine e che metodo di ricerca hai adottato?

Brando, nella sua caccia spasmodica all’ufficiale francese responsabile del’abuso, dopo Marsiglia arriverà ad Orano, in Algeria, si arruolerà nella legione straniera, combatterà i fellagha nel deserto del Sahara, poi si sposterà a Livorno, Milano, Roma, sulla Costa Azzurra, a Nizza. La conoscenza diretta dei luoghi, in un romanzo storico, è imperativa per chi voglia raccontare storie verosimili. Anche se il lettore non conosce e non visiterà mai quei luoghi è di basilare importanza che riesca a percepire il realismo geografico dell’ambientazione affinché tutta l’impalcatura storica possa risultare credibile. Io scrivo di luoghi che ho conosciuto e visitato personalmente.

Silvana e Danielle, due donne coraggiose. Mi racconti le due figure brevemente e come è stato raccontare due storie dolorose con protagoniste le donne?

Silvana è la madre di Brando. È una figura da tragedia greca perché nella sua fragilità si trova a dover affrontare prove più grandi di lei. Le sue scelte saranno drammatiche, ma è portata ad abbracciarle a causa di eventi ingestibili, come la guerra e successivamente i giorni disperati del dopoguerra. Quello che accadde a Livorno dopo la liberazione fu la sconfitta della dignità di un popolo intero. Silvana si abbandona al destino, si lascia trascinare dalla violenza di quei giorni, è un personaggio che suscita compassione. Come madre pagherà con l’abbandono di suo figlio e come donna la perdita del proprio rispetto. Diversa invece è Danielle. Una tosta, una combattente, una che non si arrende mai. Lei, nel marasma del dopoguerra riesce a mantenersi a galla con mille espedienti. Ha un animo grande così, infatti è lei a offrire a Brando gli unici istanti di amore sincero della sua vita.

Violenza, morte ma anche tanto amore,sarà  questo sentimento a influenzare le scelte di Brando?

Brando vive una vita dannata, i suoi atti d’amore con le prostitute, le uniche donne con cui riesca a fare sesso, sono in realtà degli stupri. Riuscirà a riscattare questa sua vita balorda? Per non rivelare il colpo di scena finale dirò soltanto che l’amore di una donna finirà per aiutarlo. Un attimo d’amore, un solo gesto di vero amore dunque è in grado di dare una svolta alle nostre vite, di vincere su trent’anni di violenze, in definitiva di rompere le catene dell’odio.

I tuoi precedenti romanzi andati benissimo, diventeranno film?

Guarda, preferisco non parlarne, perché ogni volta che sembrava che fossimo sul punto di firmare, poi è successo qualcosa che ha spostato la data dell’accordo più in là. Diciamo soltanto che i miei romanzi sono molto cinematografici e per questo interessano i produttori.

Progetti futuri?

Se vuoi sapere del prossimo romanzo, ti posso dire che racconterà  dei poteri forti che dominano la scena internazionale. Lascerò  insomma l’ambientazione italiana per trasferirmi negli Stati Uniti. Invece per la televisione sto scrivendo una serie di docufiction sulle vittime della mafia.

Sei anche direttore di GlobalPress.it. Come concili le due attività?

Globalpress.it è l’agenzia che porto avanti da anni con l’aiuto di giovani e bravissimi collaboratori. Sono soprattutto loro che la curano. Ci dedichiamo a tutto ciò che fa cultura. Per me e i miei giornalisti è un osservatorio importantissimo, che ci consente di essere presenti, oltre che come testimoni, anche come recensori degli eventi culturali più rilevanti, svolgendo quella funzione che una volta era prerogativa dei critici: quella di commentare fuori dai denti il fatto culturale, senza alcuna sudditanza, come invece purtroppo avviene oggi con la maggioranza dei mezzi di comunicazione.

Cristina Marra

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