Il morso della reclusa – Il ritorno di Adamsberg



Fred Vargas
Il morso della reclusa
Einaudi
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Il ritorno di Adamsberg: l’insospettabile reclusa
I gestaltisti l’hanno chiamato insight, ovvero la capacità improvvisa e subitanea di comprendere la soluzione a un problema o di trovare la strategia utile a risolverlo. Insight, intuizione, capacità di vedere dentro alle situazioni, fiuto, prontezza o, più propriamente, perspicacité, pressentiment, intuition. E si può parlare davvero di intuition per descrivere il commissario Adamsberg, che fa il suo ritorno dalle nebbie islandesi in quel di Parigi, nell’ultimo atto narrativo della Vargas: Il morso della reclusa.
È Adamsberg il vero e solo protagonista dell’intreccio di storie, volti e fatti umani che ancora una volta l’autrice intesse senza lasciare nulla al caso. Adamsberg: commissario schietto, meditabondo, con le sue passeggiate e le sue “bolle” d’aria che aumentano di pressione fino a esplodere in genialità. Adamsberg, così come lo abbiamo conosciuto, ci lascia un attimo col fiato sospeso: certo, arriva a Parigi e fa subito parlare di sé, ma il ritorno, ogni ritorno, anche quelli dei romanzi, non è mai un fatto privo di conseguenze: Adamsberg deve riconquistare la fiducia della squadra, deve dimostrare ai suoi più stretti collaboratori di non essere cambiato. Ci impiegherà non poche pagine a ritrovare l’appoggio di tutti e sarà il commissario Danglard, o meglio, la sua testardaggine e la sua paura, a mettere davvero alla prova lo spirito del commissario.
Torniamo alle indagini, all’intuition: l’agente Voisenet, appassionato di ittiologia e non solo, sta seguendo con una certa curiosità una serie di avvenimenti di cronaca, una serie di decessi apparentemente causati dal morso di un ragno, la Loxosceles reclusa. Una serie di decessi strani, anomali, tanto che Adamsberg si convince che non siano una semplice casualità, ma l’opera di un assassino. Reclusa. Tutti, da Voisenet al Professor Pujol, aracnologo, gli suggeriscono di lasciar perdere: la reclusa non uccide, è innocua, si nasconde: nessun allarmismo: i decessi sono dovuti a complicazioni date dall’età delle vittime. No, non si tratta di disgrazie, quei decessi sono omicidi: così la pensa il commissario, ecco ciò che scorge il suo intuito. A questo punto inizia la vera e propria ricerca, l’indagine apparentemente insensata e irragionevole che porta dissidi entro la squadra dell’Anticrimine. Adamsberg però non si arrende e ben presto scopre che la reclusa, pauroso ragnetto dal veleno innocuo che si nasconde nei buchi e nelle legnaie, è stata l’incubo per molti ragazzi che stanziavano all’orfanotrofio di Nîmes, l’arma con cui, ben settant’anni prima, un gruppo di ragazzacci seminava il panico in quel collegio. Una vendetta? Reclusa non è però solo il nome di una specie di ragno, ma anche il nome che fin dal Medioevo è dato a quelle donne che si facevano rinchiudere in celle buie, in piccionaie, e vivevano delle elemosine dei compaesani, assumendo quasi un ruolo sacrale per la comunità. E tale scoperta getta una nuova luce sia sul caso sia sulla quotidianità del commissario: l’indagine assume un risvolto personale, risveglia un’esperienza infantile rimossa dalla coscienza. La Vargas scava nei fatti, negli indizi e nei sospetti e, ancor più freneticamente, scava nell’inconscio di Adamsberg, nei suoi rapporti familiari, in quelle “bolle” di pensieri che minacciano di scoppiare da un momento all’altro. Infine, non senza una caccia insaziabile, l’intuition, ci conduce all’impensabile arma del delitto e all’ancor più sorprendente omicida, ma, soprattutto, ci conduce alla riscoperta del movente, facendoci riflettere una volta di più sulle paure, gli incubi del passato, gli istinti e i drammi che troppo spesso avvolgono le esistenze umane.

 

Davide Coraci

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