Nel silenzio della notte



G.J. Minett
Nel silenzio della notte
Newton Compton
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Nel silenzio della notte non è una crime story fatta di violenza e degrado, né un giallo a tinte fosche, ma è uno di quei libri che una volta iniziati, a fatica si lasciano. Il suo autore sa scavare negli anfratti più inquietanti dei caratteri, nelle zone d’ombra della psiche, sfidando anche gli steccati del politically-correct, ma sempre con una lingua dopotutto normale, e già questo è un elemento di stile. La storia che G.J. Minett racconta non è mai banalmente truce e non è affetta da alcun psicologismo fine a sé stesso. Ma sa lasciare agghiacciati, inanellando dettagli, scoperchiando il brulichio della mente e i suoi fantasmi, le sue ossessioni, i suoi deliri. Non ha un’ambientazione metropolitana – si svolge nella contea del West Sussex – e non mostra scenari di degrado, anche se, dove occorre, sa mettere in scena una violenza fredda e calcolata, dandone una rappresentazione non solo credibile, ma letterariamente godibile. Non viene sparato neanche un colpo di pistola in tutto il libro, ma le detonazioni che qua e là nella trama esplodono come cariche di profondità, sanno impattare sull’immaginazione, rivelando la fragilità dei nostri luoghi comuni.
Nel silenzio della notte è un libro felicemente estraneo ad alcuni dei più comuni stereotipi che affliggono i thriller polizieschi odierni, e deve il suo pregio soprattutto al montaggio ed alla capacità dell’autore di costruire il meccanismo narrativo attraverso capitoli assimilabili a soggettive cinematografiche. Ogni capitolo ci porta dietro lo sguardo, i pensieri e i sentimenti dei vari personaggi, le loro paure, le loro ansie. La costruzione complessiva del romanzo risulta quindi da un insieme di sguardi, scaglionati in varie sequenze temporali, che ci restituiscono ciascuno una porzione dell’insieme.Di per sé una visione che può diventare da incubo. Una sorta di caleidoscopio, un labirinto nel quale ad ogni svolta tutto potrebbe prendere un’altra forma, un’altra direzione. Un montaggio non inedito, ma attuato con perizia ed attenzione e che svolge egregiamente il suo ruolo.
La lingua è asciutta, senza periodi complessi. La costruzione e lo svolgimento delle descrizioni, così come delle azioni, è affidata a periodi che raramente eccedono le quattro righe, ma questo aspetto, senza essere necessariamente riduttivo, di sicuro contribuisce all’incisività della storia stessa. I dialoghi, sempre misurati e verosimili, sono forse la parte più debole: a volte risultano eccessivamente scarichi e scialbi rispetto invece all’accumulo di adrenalina e di suspance che gravano sulla pagina. Gli elementi narrati sono quelli essenziali alla storia, con rare pennellate psicologiche o caratteriali, senza che la mano del narratore diventi mai troppo invadente.
La storia, complessa e ricca di intersezioni e contropiani dai quali emergono le sfaccettature delle relazioni fra i vari personaggi e che donano alla narrazione una buona profondità psicologica e cronologica, ruota attorno ad alcuni personaggi – Owen, Abi, Callum, Holloway, Phil, Anna, ed una manciata d’altri – e si dipana nel tempo attraverso le relazioni fra di loro.
Owen, un omone grande e grosso, si ritrova in mezzo ad un crocevia della vita: il riemergere di Abi, il suo amore d’infanzia, il fantasma del passato che lo rampogna senza fine, Callum il prepotente oggi rampante uomo di successo che lo bullizzava da bambino, il metodico e instancabile ispettore Holloway che spunta le sue caselle ad una ad una. E poi Phil, un ex poliziotto ed ex pugile che nonostante torna alla vita, delinquenti dall’eloquio forbito e le maniere decise e la spiritosa Anna. Ed un bambino perso nel tempo che gioca con una macchinina Bugatti. Tutti avranno a che fare col dolore, la morte ed i propri fantasmi, e ciascuno proverà a dare la sua risposta.
Tra torte, giardini, qualche cazzotto ben assestato, golf club, ed una collana abbagliante, ma soprattutto attraverso l’incessante crepitio dei pensieri che si agitano in ciascuno dei personaggi, in una varietà di registri che spazia dall’autoironia al menefreghismo, dall’ossessione allo sgobbo investigativo, dall’introspezione più allucinata al più calcolato degli inganni, Nel silenzio della notte ci conduce inesorabilmente fino all’ultima pagina senza mai perdere di interesse, senza diventare noioso ed anzi affastellando con metodica pacatezza e spesso con ironia sottile tutti gli elementi del disastro.

Emiliano Laurenzi

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