Notte per l’87° distretto

Mi ricordo un libro, Vedove, che la mia editor mi aveva obbligato a leggere mentre lavoravamo a Blue Tango dicendo che in un qualsiasi libro di McBain c’erano tutti gli elementi che mi potevano servire per migliorare e rendere più crediibili alcuni passaggi del romanzo. Non so se il mio lavoro ne abbia tratto vantaggio, però alla fine ho dovuto darle ragione: Ed è stato davvero un grande scrittore. Mi fa quindi  molto piacere riportare qui sotto il bel pezzo intitolato "Notte per l’87° distretto" scritto da Andrea Franco e apparso su OperaNarrativa.

Non è mai troppo tardi per scrivere qualcosa su uno scrittore che è stato uno dei grandi maestri degli ultimi cinquant’anni e se mi accingo a farlo a poco più di un anno dalla sua morte è perché doveva scemare in me l’amarezza che la notizia aveva generato sul momento. E anche perché, quest’anno cade un importante anniversario che non poteva lasciarci indifferenti… ma ne parliamo tra poco.
Ed McBain (1926-2005) cominciò a esistere nel lontano 1952 quando un abile scrittore americano cambiò il suo nome italianissimo, Salvatore Lombino, nel nome che lo avrebbe consegnato alla storia della letteratura di genere.
Ma l’ideatore della serie dell’87° distretto (e dei legal-thriller con Matthew Hope) ha lasciato innumerevoli firme sparse sulle copertine di decine di libri e non possiamo non ricordare il celebre pseudonimo con il quale ha avviato la sua lunga carriera: Evan Hunter (pseudonimo riproposto recentemente proprio al fianco del nome più celebre nel bel romanzo Candyland, una storia divisa un due parti che sembra davvero scritta da due penne diverse a dimostrazione dell’incredibile capacità di questo scrittore).

Era il lontano 1954 e con il romanzo Il Seme della Violenza (The Blackboard Jungle) si presentava al grande pubblico. Il successo era dietro l’angolo e da quel momento la penna di questo maestro del noir/thriller/poliziesco avrebbe conquistato milioni di lettori in tutto il mondo. Ancora oggi risulta essere l’unico scrittore americano insignito del Diamond Dagger, prestigioso riconoscimento conferito dalla British Crime Writers Association.
Ma McBain non ha limitato il suo impegno alla letteratura e l’autore ha dedicato parte della sua capacità creativa e descrittiva anche al mondo del cinema. Nel 1963 infatti è stato lo sceneggiatore del film culto Gli Uccelli, di Alfred Hitchcock, adattando un soggetto di Daphne Du Maurier.

Nel 1956 nasceva invece la serie che lo avrebbe reso a tutti gli effetti uno scrittore indimenticabile. Con il romanzo L’assassino ha lasciato la firma (divenuto anche un film nel 1958) prendeva forma per la prima volta l’87° distretto. Sembra che avesse riservato alla scrittura di queste storie proprio il nome Ed McBain per distinguere un certo tipo di narrativa (considerata perlopiù di serie B e denigrata da suoi colleghi scrittori) dalla sua produzione più alta (che firmava soprattutto con lo pseudonimo di Evan Hunter). La storia ha fatto il suo corso e se noi oggi siamo qui è grazie a quel tipo di narrativa che godeva di così poca considerazione. Siamo lieti che sia andata così.

Per molti lettori di tutto il mondo iniziava un nuovo modo di leggere il noir poliziesco. Oggi a distanza di 50 anni esatti e dopo la bellezza di 55 romanzi siamo qui a esprimere qualche considerazione su quel gruppo eterogeneo di detective che in molti lettori ha lasciato un segno indelebile e che in qualche modo rappresenta qualche cosa di più che personaggi di carta da leggere e lasciarsi alle spalle.

Steve Carella è senza ombra di dubbio il personaggio attorno al quale ruota tutto il distretto e i lettori lo amano, con il suo modo di fare sempre controllato, con un amarezza di fondo che non riesce a scalfirne i buoni propositi, il senso di giustizia e del dovere. E la dolcissima moglie sordomuta che nel corso degli anni è divenuta sempre più elemento caratterizzante di un personaggio che non rimane indifferente nemmeno al lettore più disinteressato.
E attorno a lui un nugolo di compagni che in un romanzo normale rimarrebbero l’ombra di sé stessi, ma che la forza narrativa di McBain ha trasformato poco alla volta in persone quasi reali, te le senti vicino mentre leggi e a romanzo ultimato sai che loro ci sono ancora, che stanno cominciando un’altra giornata di duro lavoro. Nella Grande Città Violenta. La Città Cattiva per antonomasia. E loro contro tutti. Contro i pregiudizi razziali. Contro la povertà. Contro lo sfruttamento. A volte contro le loro stesse vite, piene d’ostacoli che è impossibile lasciarsi alle spalle.
E così conosciamo Meyer Meyer, Bert Kling, Cotton Hawes, Ollie Weeks… e tanti altri, tutti insieme contro il male, anche se a volte, troppo spesso, è più forte di loro. Ma quella è la Città Cattiva. Troppo Cattiva per dei semplici uomini.
Meraviglioso è l’affresco che l’autore ha dipinto in un celebre romanzo della serie – 87° distretto: tutti presenti (Hail, Hail, the Gang’s All Here!) – in cui l’autore nell’arco di 24 ore fa muovere tutte le pedine della scacchiera che ha composto negli anni. Tutti presenti. Tutti indispensabili. Tutti vivi. E il lettore se ne accorge.

E quando ti rendi conto che ti basta leggere quelle storie per sentirti come a casa, allora significa che Ed McBain ha realizzato qualcosa di veramente grande. Ha disegnato una città immaginaria (Isola), l’ha riempita di milioni di vite e ha acceso la macchina della sua creatività.
E tutto funziona alla perfezione. Un mondo autonomo. Carella esiste davvero. E con lui Meyer, Hawes, Kling… Non è un’invenzione, no.
E ricalcando molti titoli italiani della serie abbiamo deciso di intitolare così queste poche pagine in onore dello scrittore americano: Notte per l’87° distretto.
Notte, già. Quel buio che è calato su Isola nel luglio del 2005, quando McBain ci ha lasciati e si è incamminato attraverso le strade caotiche della sua città immaginaria.
È lì che lo andremo a cercare per tanti anni ancora leggendo e rileggendo le avventure dei suoi uomini. Oppure lo troveremo nella calda e soleggiata Florida accanto all’avvocato Matthew Hope.
O chissà dove, in uno dei tanti luoghi immaginati dalla sua fantasia. In uno di quei luoghi che ha saputo descriverci con una così sensibile maestria.
Cinquant’anni fa nasceva il mito e noi oggi lo vogliamo ricordare così, semplicemente, con una parola spesso abusata, ma che in fondo ha ancora un significato importante: grazie. (andrea franco)

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