Omicidio a Mosca



Joseph Kanon
Omicidio a Mosca
Newton Compton
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Il libro  si apre a Mosca nel 1961 (siamo nell’era di Kruscev), con un importante editore americano Simon Weeks in arrivo con un volo privato per incontrare a Mosca suo fratello, Frank, Frank Weeks. Nel 1949, prima di essere arrestato come spia, proprio lui, Frank Weeks, agente della neonata CIA, dopo essersi battuto da studente in Spagna nelle file dei repubblicani, aver fatto parte durante la Seconda Guerra mondiale dell’OSS, era stato costretto a fuggire precipitosamente in Russia per diventare agli occhi occidentali e americani “l’uomo che tradì una generazione”.                                      Da quel momento in poi, su di lui era calato un velo nero e la sua famiglia, i genitori e il fratello minore, era stata costretta a subire vergogna e ostracismo, a cambiare lavoro, lasciando importanti incarichi governativi, mentre molti amici avevano voltato le spalle. Per tantissimo tempo da parte sua non era mai arrivata alcuna notizia ufficiale. C’era stato solo qualche sporadico rapporto con la madre e la ferale notizia che Ritchie, il bambino figlio di Frank e di Jo, sua moglie, che l’aveva seguito in Unione Sovietica, era morto di meningite. Ma all’improvviso inspiegabilmente ben dodici anni dopo, ha preso contatto con Simon, suo fratello che dirige negli Stati Uniti l’importante Gruppo editoriale del suocero e gli ha chiesto di raggiungerlo a Mosca per aiutarlo a completare l’editing del suo manoscritto. Il KGB ha concesso il permesso di scrivere e pubblicare la sua biografia, chiaramente destinata a diventare un bestseller internazionale. Simon e Frank erano i figli di un alto funzionario del New Deal. Sono discendenti di una vecchia famiglia che fa parte dell’elite del New England. Hanno frequentato Harvard perché Harvard era, come tante altre cose per la  gente del loro mondo, nella tradizione familiare. Erano legatissimi tra loro. Addirittura durante l’infanzia e l’adolescenza, Simon idolatrava il fratello maggiore. Seguì le orme di Frank ad Harvard e poi, entrando a far parte dell’OSS, nella seconda guerra mondiale. Simon allo stesso tempo teme e desidera questo loro ritrovarsi. Da un lato è sicuro che il libro sia di parte e fazioso, a causa dell’ambiguità morale del fratello legata al suo credo e per il rancore che prova nei confronti della CIA. Ciò nondimeno l’affetto parla. Questa è l’occasione che aspetta da tanti anni. Vuole rivederlo e soprattutto per questo ha deciso di accettare. All’arrivo di Simon a Mosca, Frank è quello di sempre, ma più passeranno le ore e i giorni, più riaffioreranno le differenze di vedute tra loro, accompagnate da un certo rancore provocato della scelta di vita di Frank. Ma Simon Weeks non può permettersi di non pubblicare un libro, che sarà chiaramente un gran best seller. Mettendo da parte i suoi dubbi, si accinge a lavorare sul testo con il fratello sotto l’occhio vigile di Boris, un colonnello KGB allo stesso tempo sorvegliante e guardia del corpo di Frank. Ma Frank collabora solo marginalmente, preferisce fargli da cicerone a Mosca. E ben presto saltano fuori le sue reali motivazioni: vuole l’aiuto di Simon non per mettere a punto un romanzo, ma per tornare negli Stati Uniti. Ma sarà poi vero? O il fratello lo sta trascinando in un altro dei suoi intrighi, schiacciandolo in un tragico gioco fatale tra CIA e KGB. Un gioco al quale uno di loro due potrebbe non sopravvivere.
Omicidio a Mosca è una storia densa, molto coinvolgente e dal ritmo serrato, scritta ponendo grande attenzione ai dettagli e alle sfumature che caratterizzano i diversi personaggi. Tristemente imperdibile la descrizione del cerchio delle riunioni dei transfughi occidentali, quasi trasformati da tempo e dal sopravvenire di nuovi sistemi e tecnologie in vecchi soprammobili polverosi. Joseph Kenan tratta l’argomento ideologico con accuratezza ma senza eccessi e sbavature ed evoca un quadro dell’Unione Sovietica sotto Nikita Khruschev grigio, cupo, agghiacciante ma molto credibile. Con Omicidio a Mosca, Kanon si riprende la scena in veste di acclamato maestro del thriller spionistico quale è, richiamando piacevolmente il ritmo e i calibrati intrecci di Graham Greene e regalandoci una storia intrigante, degna dei palati più difficili con una trama avvincente che ci fa camminare in fragile equilibrio sul filo del rasoio fino in fondo.

 

Patrizia Debicke

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