“Orient”: segnatevi questo titolo perché a fine anno, quando sarà tempo di classifiche, lo inserirete tra le dieci migliori uscite del 2018. Col romanzo fiume di Christopher Bollen (700 pagine, ma ne vale la pena), Bollati Boringhieri mette a segno un colpo da novanta, con la sola pecca di spacciarcelo – o forse la colpa è dei recensori – come un thriller. Più realisticamente, nonostante un assassino, strani mostri alla Lovecraft e quant’altro di assimilabile alla narrativa di genere e affini, è “soltanto” un gran bel libro americano. E ve lo dice uno che l’America non l’ama affatto. Bollen s’avvicina, per stile e atmosfere, al miglior Jay McInerney o a Francis Scott Fitzgerald. Oppure potrebbe essere il nuovo “Stoner”. La storia è ambientata in un piccolo posto di contadini, Orient appunto, a Long Island, divenuto rifugio di artisti annoiati ed eccentrici, provenienti da New York o simili. Cercano tranquillità e l’ispirazione. La vecchia comunità chiusa e diffidente si trova, dunque, a fare i conti coi nuovi venuti e tra questi spicca Mills, un giovane che cerca di lasciarsi alle spalle un passato ambiguo. Mills spacca in due Orient e si ritrova protagonista, insieme all’irrequieta Beth, dei misteri che via via affiorano. L’autore strizza l’occhio ad alcune tematiche contemporanee di grande impatto: l’ambientalismo, la paura degli altri, l’omosessualità. Ma ciò che resta impresso, prima ancora della storia, è lo stile. Bollen utilizza le parole come Federer la racchetta da tennis. Nessuna è fuori posto. E’ raro che questa impressione sia subito così netta e resista per ben 700 pagine. Alcuni hanno scritto che il romanzo si consuma tutto d’un fiato: è una sciocchezza. Al contrario, va gustato lentamente. E non potrebbe essere altrimenti, anche soltanto per lunghezza e complessità. Mettete perciò in conto almeno due settimane di lettura. Se fosse una canzone, Orient suonerebbe come “Tra le vite degli altri” dei Ministri. Voto: 8 e mezzo.
Orient
Alessandro Garavaldi
