Paesaggio d’autunno



Leonardo Padura Fuentes
Paesaggio d’autunno
Tropea
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Puntata finale della tetralogia delle quattro stagioni di Leonardo Padura Fuentes. Con Paesaggio d’autunno si chiude la carriera di Mario Conde. Il tenente di polizia non ha mandato giù l’allontanamento del suo capo, il maggiore Antonio Rangel, ma soprattutto non ne può più, a 36 anni, di inserire la propria esistenza nello sterco per poter sopravvivere. Magari dovendo consegnare alle patrie galere chi, per il suo particolare modo di sentire, è l’unico davvero innocente dentro una situazione delittuosa. In questa nuova avventura baratta l’incarico con l’accettazione della sua lettera di dimissioni. Altrimenti passino l’indagine ad altri.

La vittima si chiama Miguel Forcade, ex funzionario governativo, espulso da Cuba, di stanza negli States, ma ritornato inopinatamente all’Avana? Oggi è un cadavere mutilato nei genitali e la spiegazione del suo ritorno in un improvviso desiderio di rivedere il padre malato non convince il Conde. Neanche se ad affermarla è Miriam, la vedova, bella come una Dea. Cosa c’entra un quadro di Matisse appeso a un muro privato evidentemente non suo? E la leggenda che illumina un Buddha d’oro?

Il Conde si muove. Lui, a un passo dall’alcolismo, incapace di sentirsi necessario a qualcuno, pseudo scrittore e futuro ex poliziotto, cammina a testa bassa e narici sature negli ambienti che conosce bene, dove il più pulito di solito ha la rogna. Voracità, doppiezza, tristezza da combattere con l’alcol e l’ironia. Giri ubriachi di un destino che sembra divertirsi come un matto a fare impazzire i poveri mortali. Meglio chiudere la partita in tre giorni e poi imparare a respirare da qualche altra parte. Anche perché all’Avana si sta per abbattere un apocalittico uragano. Che però non riuscirà a portarsi via gli ideali rivoluzionari. Quelli ormai…

Romanzo imperdibile. A maggior ragione se si sono letti i tre precedenti. Ma Paesaggio d’autunno vive di luce propria. Come il bicchiere della staffa. Che se non ha un vissuto dietro non può essere della staffa. Ma che se non si ha un vissuto alle spalle non si può lasciare sul banco. O dentro la bottiglia.

In calce, una nota piccola piccola, ma non senza valore. Qualcuno può avvertire l’autore che la citazione musicale aggiunge se corretta e irrita se (continuamente) sbagliata? Che ad esempio, il Conde non può perdersi in un irresistibile ascolto di Proud Mary mai così ben cantata da Tom Fogerty perché semplicemente la cantava il più celebre fratello John? Che il cognome dei due è Fogerty e non Foggerty? Che il gruppo dei fratelli Fogerty erano i Creedence Clearwater Revival e non i Credence? Già il precedente Maschere conteneva questa tipologia di errori ma, dio mio, chi non ne fa? Però ripeterli nel romanzo successivo… Qualcosa mi dice che non c’entrino né la traduttrice né l’editor o la correzione di bozze (anche se qualche controllo…). Forse nel percorso dagli States a Cuba questo sontuoso gruppo ha perduto qualcosa in mare e Padura Fuentes ne ha raccolto i cocci. Chi può gli dica che una collection dei CCR lo aspetta dall’Italia.

Corrado Ori Tanzi

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