Piccoli scrittori crescono – Una mattina particolare di Maroi Marzougui

Continuiamo la pubblicazione dei racconti migliori prodotti dai ragazzi dell’Istituto Martino Martini di Mezzolombardo (Trento) nel corso del workshop che si è tenuto a Suzzara il 29 gennaio scorso, nell’ambito del Festival di letteratura noir Nebbiagialla.
La prima parte, in corsivo, è l’incipit scelto dall’autrice fra i tre proposti.

Una mattina particolare

Di Maroi Marzougui della classe 1° Liceo Economico Sociale

«Ciao ma’, io vado.»
«Devi fare colazione.»
«Prendo un panino dal fornaio».
«Ma qui è tutto pronto. Bevi almeno il succo d’arancia».
«Vabbe’…»
Passando davanti al tavolo della cucina coperto di tutte le squisitezze che sua madre gli preparava ogni santa mattina perché, a suo dire, “la colazione è il pasto più importante della giornata e se non ti sei messo dentro un po’ di calorie poi a scuola non rendi”, Luca provò un leggero senso di vertigine seguito da un accesso di nausea.
Quella notte non aveva chiuso occhio perché la prova che lo aspettava lo spaventava talmente che aveva le viscere in subbuglio e lo stomaco completamente chiuso. Ma sua madre insisteva e almeno un sorso di succo doveva cercare di mandarlo giù.
Naturalmente sua madre si accorse che qualcosa non andava. Era impossibile che le sfuggisse il malessere del figlio. Un agente del Kgb, ecco cos’era!
«Che c’è? Non ti senti bene?» domandò vedendolo più pallido del solito.
«Niente, ma’. Lasciami. Sono in ritardo.»
Luca si buttò lo zaino sulla spalla allontanando bruscamente la mano che cercava di tastargli la fronte.
«Sto bene, ho detto. Bene!».
«No che non stai bene», insistette la madre. «Sei tutto sudato. C’è in giro una brutta influenza e…»
Ma il ragazzo stava già aprendo la porta d’ingresso e non sentì il resto. Le parole si persero nel clic della porta che si richiudeva.
Le ultime parole di sua madre.

Mentre scendeva le scale della palazzina, mille pensieri lo trafiggevano e, anche volendo, non riusciva a liberarsene. La causa del suo malessere erano alcuni ragazzi che il pomeriggio precedente aveva incrociato in città: lui sapeva che non erano animati da buone intenzioni.
Erano bulli che si divertivano a tormentare gli studenti. Luca li aveva subiti per giorni e giorni, fino a quell’incontro casuale in centro nel corso del quale gli avevano dato appuntamento per quel mattino fuori dalla scuola, per risolvere la situazione a modo loro. Lui era particolarmente agitato perché non sarebbe stato un incontro equo dal momento che sarebbero stati tre contro uno. Lo avrebbero pestato come un tamburo ma era un prezzo che era disposto a pagare pur di non fare la figura del vigliacco. Però, quello che lo tormentava maggiormente non erano le botte, ma la figuraccia che avrebbe fatto con Sabrina, la ragazza di cui era perdutamente innamorato, perché non era certo di avere la meglio su quei tre.
Arrivato sul luogo dell’incontro, notò immediatamente i tre che appena lo videro scoppiarono a ridere.
«Hai coraggio, bambinetto! Però qui il coraggio ti serve a poco perché ti spaccherò quel bel faccino», disse uno dei tre accompagnato dalla risata di sottofondo degli amici.
«Potete essere forti quanto volete ma non vi conviene sottovalutarmi», ribatté Luca, pentendosi immediatamente di quello che aveva detto.
L’adrenalina gli saliva su tutto il corpo. Tremava e non riusciva più a ragionare o a formulare una frase logica senza balbettare. I ragazzi cominciarono a colpirlo e a insultarlo mentre tutti gli alunni del liceo di erano disposti intorno a loro. C’era perfino qualcuno che filmava l’aggressione dicendo frasi tipo: “Questo va subito su Facebook”.
“Ammazza che roba!”
“Rissa, rissa, rissa!”
A Luca non importava nulla di quello che dicevano i compagni . Aveva solo un pensiero fisso: Sabrina! Avrebbe voluto assicurarsi che lei non assistesse a questa scena, anche se era consapevole del fatto che prima o poi l’avrebbe vista. Magari in un video.
Al pensiero della ragazza, Luca, che era stato buttato a terra, di colpo balzò in piedi come se fosse stato riempito di energie. Si girò verso i tre che, avendo ottenuto quello che volevano, ormai si stavano allontanando e li afferrò per gli zaini scaraventandoli a terra. Come una furia colpì il primo con un pugno secco, poi il secondo e il terzo. Aveva il fiatone, era rosso di rabbia, gli sporgevano le vene sulle braccia e sul collo. Tutti gli stavano lontano per timore.
I tre bulli, sorpresi e impauriti, scapparono senza pensarci due volte mentre i compagni intorno gridavano frasi di incitamento:
«Luca! Luca! Luca!»
«Sei un grande!»
«Fagli vedere chi comanda!»
Le grida cessarono di colpo quando il frastuono fu sovrastato dalla voce della preside.
«Luca, vieni subito con me in dirigenza!»
Adesso sì che era nei pasticci. E per di più Sabrina aveva assistito al rimprovero. Per Luca non sarebbe potuta andare peggio.
«Questo comportamento è inammissibile a metà del secondo quadrimestre! Poi da te che sei a rischio bocciatura! Non credere di passarla liscia, ragazzino. Questa scuola è la British High School e tu ne hai infangato la reputazione», esplose la preside.
Luca era veramente arrabbiato con sé stesso. Non ne aveva combinata una giusta! Sua madre sarebbe venuta a conoscenza dell’accaduto e lui odiava quando lei gli faceva la ramanzina, cosa che succedeva troppe volte.
Com’era prevedibile, la madre di Luca fu convocata.
«Suo figlio è irrispettoso verso le regole di questo istituto. Non ha preso seriamente la scuola. E’ un peccato perché è un ragazzo molto intelligente, ma non sfrutta le sue potenzialità sia per quanto riguarda il rendimento scolastico che per la disciplina. Se non si impone di cambiare saremo costretti a punirlo», disse la preside.
La dirigente parlava e intanto Luca pensava che nella scuola che frequentava fossero veramente furbi perché nonostante la poca disciplina non era mai stato espulso o bocciato nessuno. “Devono tenersi gli alunni. Questa è una scuola privata e se ci mandano via chi paga i loro stipendi? Mia madre deve essere tonta per non accorgersene…”
Mentre il ragazzo si perdeva nei suoi pensieri, la madre cercava di calmare la preside.
«Luca è un bravo ragazzo, ma certe volte non riesce controllare le sue emozioni. Sono desolata per l’accaduto. Mi fa diventare matta ogni volta. Stia tranquilla, signora Preside. Penserò io a farlo rigare dritto. Non succederà mai più un episodio simile».
Doveva essere super arrabbiata. Luca lo capiva dalle occhiatacce che gli lanciava. Di colpo si sentì stanco di stare rinchiuso in quella stanza, ad ascoltare due persone che parlavano di lui come di uno psicopatico.
«Con permesso…» disse.
Poi si voltò e uscì.
Le due donne si guardarono, sconvolte. Poi la madre rincorse il figlio.
«Smettila di farmi fare queste figure con tutti», gli disse. «Comportati bene una buona volta! Il tuo comportamento mi imbarazza. Quanto avrei voluto che tu fossi tranquillo, calmo e bravo a scuola. Ma sei tutto l’opposto. Sei una delusione!»
Luca rimase fermo ad ascoltare ma non si sentiva per niente in colpa. I rimproveri non lo sfioravano. Quando la madre tacque, se ne andò, ignorandola completamente.
Uscì dall’istituto e si diresse verso un bosco non molto distante per riflettere. Nessuno lo capiva. Si sentiva la pecora nera del gruppo in qualsiasi contesto. L’unica persona che gli sembrava potesse capirlo era Sabrina, una ragazza che lo intrigava, che gli trasmetteva molte emozioni anche se non si erano mai parlati. Luca si limitava ad osservarla da lontano e a fantasticare su una possibile relazione con lei, ma era solo un sogno che non avrebbe mai trovato il coraggio di realizzare.
La gente pensava che lui stesse diventando pazzo e in effetti era pazzo.
Era pazzo di Sabrina.

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