LE ARMI DELL’ASSASSINO: UNA LAMA E UNA PIETRA
di Enrico Luceri
Nei miei gialli (e non solo) spesso l’assassino perseguita le sue vittime con messaggi spaventosi, prima di ucciderle.
E quando uccide usa armi da taglio (coltelli, accette, rasoi o uncini), corpi contundenti (pietre, bastoni, martelli), o corde o buste di plastica che infila in testa alle vittime.
Cioè taglia, percuote, strangola o soffoca.
Sembra una contraddizione.
Perché un assassino spietato, lucido, freddo, paziente che prepara ed esegue piani accurati corre due rischi molto grossi.
Il primo: perseguitare la vittima significa avvertirla del pericolo, metterla in guardia, evitare di sorprenderla.
Il secondo: usare armi da taglio o corpi contundenti significa aggredire la vittima corpo a corpo. La vittima potrebbe reagire, e l’assassino potrebbe lasciare una sia pur piccola traccia biologica che la polizia poi analizzerebbe, magari risalendo alla sua identità .
Due rischi che sembrano una contraddizione con la personalità dell’assassino.
Invece no.
Perché terrorizzare la vittima prima, e ucciderla infierendo con quelle armi poi è una necessità dell’assassino. L’assassino vuole vedere la paura negli occhi della sua vittima, farla soffrire, procurarle un dolore insopportabile, fisico e psicologico.
Cosa ha fatto la vittima per meritare tutto ciò?
Ha commesso un sopruso, molto o poco tempo fa, che ha provocato sofferenza e dolore a qualcuno.
Qualcuno che non accetta, non dimentica e non perdona quella sofferenza e quel dolore.
E diventa un assassino. Che prima perseguita la vittima e poi infierisce su di lei. Con lame, pietre e corde.
Per restituirle quel dolore e quella sofferenza.