Posizione di tiro



Jean-Patrick Manchette
Posizione di tiro
einaudi
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Credo che in futuro Jean-Patrick Manchette tornerà spesso su questo blog. Si tratta – lo dico subito – del mio scrittore preferito, senza se e senza ma. Non capita sempre; ad esempio, fatico a trovare un mio gruppo preferito, un unico gruppo, perché ce ne sono diversi che, a giorni alterni, si contendono la mia hit parade personale. Idem per il film preferito o il libro preferito. Per quanto riguarda gli scrittori, invece, non ho nessun dubbio. Manchette (traduzione francese: polsino) è stabilmente al primo posto. Qui, qui e qui trovate qualche nota biografica e letteraria su di lui, in italiano.Con questo post inizio a riportare qui sopra qualche mia impressione sui libri che leggo (soprattutto), sui film che vedo (ma meno), sulla musica che ascolto (ve lo dico subito: quasi niente, perché di roba nuova ne ascolto pochissima). La mia prima recensione la dedico quindi a un libro di Manchette, ovvero “Posizione di tiro”, uscito in Francia nel 1981 con il titolo “La position du tireur couchè” e riproposto da Einaudi nel ’98 nella collana Vertigo.La storia, come spesso capita in Manchette, è piuttosto esile, con un intreccio minimale senza tanti arzigogolamenti. Manchette scrive noir, non gialli classici: nei suoi romanzi ci sono svariati morti, ma di tutti si sa immediatamente chi è l’assassino, e non ci sono misteri della camera chiusa da risolvere. Nelle sue storie, poi, i delinquenti contano più dei poliziotti. In Posizione di tiro il protagonista è un sicario, figura che spesso capita di incrociare leggendo questo autore (killer professionisti appaiono infatti anche in “NADA” e in “Piccolo Blues”). A Martin Terrier, questo il suo nome, succedono tutte quelle cose che ci si aspetta capitino ad un sicario: uccide, guadagna, vuole lasciare l’attività contro il parere del suo datore di lavoro, cercano di farlo fuori, ecc. La storia non la dico, perché non mi sono mai piaciute le recensioni che spiattellano le trame dei libri. Casomai leggetelo, il libro. E comunque, non è l’intreccio quello che in questo libro conta. Quello che conta sono le atmosfere (come in ogni noir che si rispetti) e lo stile.
Anche in Posizione di tiro (che, non l’ho ancora detto, è l’ultimo libro scritto da J.P.M.) si ritrova quello stile secco, angoloso e asciutto che contraddistingue la scrittura di Manchette. Qui, come in altri suoi libri, non troverete mai un introspezione, un pensiero dei personaggi che il narratore capta e trasmette al lettore; Manchette non scrive così (“non è il mio genere”, disse in un’intervista), ma si limita sempre e solo a descrivere quello che si vedrebbe se, invece di un libro, stessimo guardando un film. Un piccolo esempio. Nel libro, Terrier scopre la donna che ama e che sta fuggendo insieme a lui da qualcuno che li vuole morti, che sta facendo sesso con un altro personaggio. Ebbene, anche in questa occasione Manchette fa in modo di non farci mai sapere direttamente cosa stia pensando Terrier, quali sentimenti stia provando; eppure lo capiamo lo stesso, ma dalle cose che fa, dagli atteggiamenti che assume, dalla piega che, da lì in poi, prende la situazione. Questo accade sempre, ed è proprio questo che mi piace di Manchette: niente fronzoli, niente concessioni al superfluo, niente “seghe mentali”; tutto quello di cui il lettore ha bisogno per seguire l’intreccio è lì, è nella storia, negli avvenimenti, nelle azioni, e non nella testa dei personaggi. Quando guardiamo la realtà di tutti i giorni non sappiamo cosa stia pensando la gente di tutti i giorni: sappiamo solo quello che dice e quello che fa, e su queste basi agiamo di conseguenza. Ecco, questo è Manchette, uno scrittore secco, ironico, pertinente e cattivo. Ho scritto “cattivo” in quanto nelle sue storie non troviamo mai un lieto fine o, perlomeno, quello che di solito è inteso come lieto fine. Eppure non sempre, al termine della storia, i suoi personaggi muoiono, Anzi, pensandoci bene, non muoiono quasi mai. Eppure il finale è amaro, oscuro, così come amari e oscuri sono tutti i personaggi dei suoi libri. Manchette non concepisce personaggi positivi; delle due, una: o non gli interessano o non crede che ne esistano. E secondo me questa è l’ipotesi più probabile. Anche per questo mi piace, Jean-Patrick: perché è pessimista e ironico allo stesso tempo, impegnato e distaccato contemporaneamente. Io, nel mio piccolo, non posso far altro che consigliarlo, e se volete iniziate proprio da Posizione di tiro, dal suo ultimo libro, come feci io otto anni fa: allora mi si aprì davanti agli occhi un bellissimo mondo letterario, quello del noir (del “polar”, alla francese) che non ho più lasciato.

sauro sandroni

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