Pupi Avati- Fra la Via Emilia e il Midwest – decima e ultima puntata

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Fabrizio Laurenti dirige nel 1995 la fiction Rai in 5 puntate Voci notturne scritta dallo specialista Pupi Avati. Una storia coinvolgente, tesa, spaventosa al punto giusto, che coniuga con l’abilità riconosciuta di Avati le atmosfere de Il segno del comando reinterpretandole secondo l’estro e la fantasia evocativa del maestro dell’horror padano.
Roma, dal Tevere affiora un cadavere decomposto che la corrente deposita sul greto. È identificato come quello dello studente di architettura Giacomo Fiorenza, ma i genitori sostengono che egli si trovi negli Stati Uniti, da cui ha telefonato loro anche la sera precedente. Il mistero s’infittisce perché l’autopsia conferma, oltre all’identificazione del giovane, anche macabri particolari, come sostanze e piante estinte da secoli legate al cerimoniale di sacrifici rituali. E, nel frattempo, continuano le telefonate fatte da una persona che parla con la voce di Giacomo. Malgrado lo scetticismo del commissario Morlisi, Stefano Baldi, collega di studi e amico di Giacomo, sospetta che la sua morte sia collegata alla loro tesi di laurea, dedicata a una misteriosa confraternita che all’epoca dell’antica Roma custodiva e officiava riti sanguinari sul Ponte Sublicio. Argomento di un’analoga tesi d’anteguerra di un misterioso Norberto Sinisgalli. Così Stefano risale al palazzo dove abita l’anziana signorina Valover, nipote di un’amica del Sinisgalli, e da lei apprende particolari sempre più spaventosi. Frattanto, negli Stati Uniti il detective Fedrigo è stato incaricato dal consolato italiano di cercare Emily Cohen, presunta fidanzata di Giacomo e quindi preziosa testimone, ma gli intrighi di una escort enigmatica ne complicheranno le indagini. Quando gli investigatori, improvvisati o professionali, si avvicineranno troppo alla verità, qualcuno comincerà a eliminarli spietatamente. Forse l’assassino è quel Norberto Sinisgalli che, come riferisce la signorina Valover allo stupefatto Stefano Baldi, ‟vedeva cose che non ci sono”?
Trasmesso frettolosamente nella tarda estate del 1995, Voci notturne è diventato nel tempo una serie cult per gli appassionati del genere giallo contaminato di quello che il giudice Pagani (Arnaldo Ninchi) definisce ‟il solito bric-a-brac esoterico”. Il fascino di un olocausto che risale a un tempo che sconfina nel mito, e il movente molto più materiale di nascondere le circostanze in cui famiglie ebree furono tradite e depredate durante l’occupazione nazista di Roma (dettaglio che ricorda la ricerca di un carteggio analogo nello sceneggiato Il segno del comando), il mistero delle telefonate in cui si ode la voce di un morto come in un horror, e l’avanzata tecnologia per risalire all’apparecchio da cui provengono. L’accolita di esoteristi che promette la resurrezione (beninteso, passando per la morte altrui) se il trapasso avviene in date precisa, è una manica di imbroglioni o davvero dei moderni stregoni? I personaggi sbucano da tetre stanze di un castello nascosto nelle dolci colline umbre per ricomparire in una dove marciscono corone da morto e sono conservate pile di giornali ingialliti che nascondono, nei necrologi, un indizio determinante. Interpretato da un parterre d’attori di provata esperienza come Cesare Barbetti e Valeria Fabrizi, Massimo Bonetti e Lorenzo Flaherty, con la collaborazione oltre atlantico di Jason Robards III e di Mary Sellers (moglie del regista Fabrizio Laurenti e presenza costante nelle pellicole di genere di quegli anni), Voci notturne è una delle opere migliori fra quelle scritte da Pupi Avati, un intreccio appassionante e teso, claustrofobico e sorprendente, dove il finale lascia aperto uno spiraglio per ben altra soluzione o, per meglio dire, socchiude una porta su spiegazioni assai meno razionali di quanto le autorità vorrebbero.
Come epilogo di questa serie di articoli dedicati a Pupi Avati e alla sua personalissima ricerca di un terrore familiare e morboso, valgono meglio di tutto le parole dello stesso regista: «Il cinema di genere deve essere ricco di passaggi obbligati (topoi). C’è una sorta di patto fra lo spettatore e chi crea la storia e sa cosa si aspetta e deve avere il pubblico che paga il biglietto. Il cinema di genere deve essere rassicurante per il fatto di cui sopra, in cui il narratore rispetta il patto di spaventare lo spettatore. Le notti nella casa, i rumori, la tensione… bric-a-brac di cui tener conto, rispettando il diritto a una creatività originale.»
Pupi Avati- Fra la Via Emilia e il Midwest. Fine

Enrico Luceri

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