I racconti della Confraternita di Radeschi

51L2jiQNTZL._SX334_BO1,204,203,200_La Confraternita dei Lavandai
di
Elisabetta Belotti

La serata è calda ma non afosa: praticamente un mezzo miracolo nell’agosto di Milano. Il ristorante è pieno, come sempre, perché chi rimane in città d’estate non ha voglia di chiudersi in casa, preferisce cercare scampoli di serate all’aperto. Questa sera poi non ci sono nemmeno le zanzare, un doppio miracolo a Milano.
Radeschi è al tavolo con una ragazza, una tipa carina. Capelli castani corti, occhi azzurri. Un visino da madonna e una risata da muratore bergamasco, anche se in realtà è pugliese. Si conoscono da pochi giorni, ma a Radeschi piace molto: è bella e poi non è la classica ragazza tutta lavoro-aperitivi-amiche-weekend-selfie-shopping. Forse perché fa la programmatrice, è laureata in Informatica e non indossa mai i tacchi.
Molto, molto intrigante, ha pensato Enrico quando l’ha conosciuta per caso a una cena con i suoi amici fuori corso all’università: per un giornalista hacker come lui, una bella sfida. Per questo lui si è un po’ stupito, quando lei gli ha proposto una cena al Brellin: negli ultimi tempi quest’angolo di Milano, e questo ristorante in particolare, sono diventati un po’ troppo di tendenza. Il vicolo dei Lavandai, così si chiama questa zona del Ticinese, conserva un fascino d’altri tempi, di quando Milano era una città d’acqua. Chissà a chi era venuta in mente l’idea di coprire tutti i Navigli, in ogni modo, era stato un vero delitto.
E a proposito di delitti, Radeschi sta facendo un po’ il pavone con Silvia: da almeno un quarto d’ora le racconta la sua prima indagine, vecchio cavallo di battaglia per le nuove conquiste.
«Insomma, una vera Confraternita. E poi le ossa, e la chiesa di San Bernardino, con tutti quei teschi, la conosci?» se la sta tirando un po’, però ha rischiato la vita, ci può stare.
«La conosco? È una delle mie chiese preferite a Milano. Mi ricorda un po’ la cattedrale di Otranto, i teschi dei martiri. Terribilmente evocativi. Morire per fede… un po’ come morire per amore, no?»
«Sì, immagino di sì» risponde Radeschi.
«Comunque la Confraternita delle ossa mi ha fatto venire in mente una storia legata a questo luogo. Sai, molti si stupiscono perché il vicolo si chiama dei lavandai e non delle lavandaie. Be’, secoli fa in effetti erano gli uomini a lavare i panni qui, non le donne. Ed erano riuniti in una Confraternita…»
«Che si chiamava la Confraternita dei lavandai, certo. Devoti a Sant’Antonio da Padova. Dimmi qualcosa che non so» la provoca lui.
«E naturalmente, tu sai che qui è accaduto un delitto» lo guarda, con quegli occhi azzurri come il mare del suo Salento. Radeschi regge lo sguardo, ma è un po’ ferito nell’orgoglio. Non era lui che doveva raccontarle Milano e i suoi misteri?
«Ascolto sempre volentieri una bella storia. Spara!»
«Bene. Luisa, anzi la Luisa, era la ragazza più bella del quartiere, e veniva qui tutti i giorni a lavare i panni. La guerra era appena finita e le persone erano di nuovo pronte a vivere, ad avere fiducia, ad innamorarsi. E anche la Luisa si era innamorata: lui era un ragazzo alto, bello, con le spalle larghe e gli occhi azzurri. Peccato non avesse un soldo, e la Luisa avesse pretese da signora. Così, questo ragazzo che era venuto dal Sud a Milano per faticare, iniziò a frequentare delle brutte compagnie. A Milano c’era la possibilità di lavorare, di arricchirsi, e per chi aveva coraggio e pochi scrupoli le occasioni non mancavano. Per un po’ andò bene ma poi Salvo, così si chiamava il fidanzato di Luisa, si fece beccare come un ciaparàtt qualsiasi, e lo portarono dentro.»
Radeschi la fissa, affascinato dal suo modo di raccontare una storia vecchia e impolverata, ma sempre attuale: una donna, un uomo, l’amore e il denaro. C’è altro, in una buona storia?
Silvia beve un sorso di vino e prosegue, con calma.
«La Luisa allora si disperò, ma non troppo a lungo. Ti ho già detto che era bella, la più bella del quartiere. Arrivò un certo Renato e se la prese: era brutto, ma aveva tanti soldi e li spendeva per lei. In fondo al cuore della ragazza però c’era sempre l’altro, il primo amore. Così, qualche anno dopo, quando Salvo uscì di galera, Renato mise in chiaro le cose Se ti guarda soltanto, io lo ammazzo. Ma la Luisa era donna, ed era innamorata: nulla poteva fermarla. Riuscirono a vedersi di nascosto; una sera, poi un’altra ancora, e tutto ricominciò, più forte di prima. Erano così presi l’uno dell’altro che non avevano paura di nulla. Un giorno il vestito della Luisa cominciò a tirare sulla pancia, e si arrivò alla resa dei conti.»
Adesso è il turno di Radeschi di bere un goccio di vino; mentre beve, non perde una parola di lei che, dopo una breve pausa, prosegue il racconto.
«Chi c’era disse poi che tutto era successo in un attimo: l’urlo di Renato, lo sparo, il sangue di Luisa e quello di Salvo mescolati insieme, per terra. La vita e la morte così vicine, come a volte accade. Renato si beccò qualche anno di galera; quando uscì, andò a vivere in un altro quartiere.»
«E Luisa? E Salvo? Morirono tutti e due? O uno dei due si salvò?»
Silvia lo guarda sorridendo e i suoi occhi brillano, azzurri e trasparenti, nella notte.
«Paghiamo il conto, ti racconto il finale mentre passeggiamo» dice la ragazza. Mentre si alza, tocca il ciondolo della collanina che porta al collo; ha una forma curiosa, si direbbe ricavato da un bossolo di proiettile.
Radeschi la vede e sorride, poi la prende per mano e camminano insieme, nella notte calda di Milano.



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