Il rituale del male



Jean-Christophe Grangé
Il rituale del male
Garzanti
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Parliamoci chiaro, 751 pagine sono tante. Anche per un lettore forte. Se poi uno dei generi protagonisti è il thriller, in cui la tensione o è costante o semplicemente non è, allora 751 pagine rischiano di essere non solo tante ma perfino troppe.
E invece? Invece succede che Jean-Christophe Grangé, certo non l’ultimo arrivato, riesce in un’impresa improbabile, ottenendo un risultato più che convincente. L’autore francese del « Il rituale del male » (uno che ha scritto «I fiumi di porpora », per dire ) si dimostra così un esperto funambolo dei generi crime, dedicando il proprio inchiostro ad una storia sospesa tra la suspense dei thriller più riusciti e le situazioni dure e crude tipiche della più moderna scrittura nera d’Oltralpe. Il tutto arricchito da una strizzata d’occhio al più attuale linguaggio della narrazione seriale di successo.
Pubblicato in Italia da Garzanti, il romanzo parte spedito, senza troppi preamboli, in una narrazione la cui trama complessa avvilupperà il lettore fino all’ultima riga. Nato e cresciuto all’ombra buia e controversa del padre, Erwan è uno sbirro diviso tra la passione per il proprio lavoro ed i problemi di una famiglia-clan difesa e lacerata dalla figura oscura del vecchio Morvan. Ex contestatore extraparlamentare, vecchio sbirro eroico e decorato, il capo famiglia rappresenta ormai da decenni la parte oscura delle istituzioni francesi. Tra finti suicidi di scomodi giornalisti e misteri sepolti da decenni di potere e ricatti, l’eminenza grigia dei servizi segreti è anche un marito violento ed un uomo d’affari internazionale. Un caleidoscopio di segreti ed eccessi, come quelli del figlio manager e cocainomane o della figlia prostituta, che sembra poter implodere quando dal passato emergono fantasmi spietati e sanguinari. Questi fatti costringeranno Erwan a fare i conti con una serie di delitti enigmatici e l’unica storia apparentemente limpida del passato del padre: la cattura e l’uccisione di un feroce serial killer nel Congo del 1971, la cui macabra firma sembra però rivivere nei cadaveri di oggi.
La trama intricata ma credibile prende forza capitolo dopo capitolo, grazie ad uno sviluppo dell’indagine che, dai panorami bretoni alle luci parigine, non si limita semplicemente ad accompagnare il lettore verso l’imprevedibile soluzione del caso. I colpi di scena ben orchestrati si susseguono infatti all’interno di una cornice narrativa di spessore, fatta di personaggi, atmosfere e dialoghi riuscitissimi che ricordano per durezza e realismo le splendide pellicole di genere di Olivier Marchal (la Francia del suo “L’ultima Missioneè davvero la stessa di Erwan e soci).
Così, il caldo umido della foresta africana, la pioggia senza tregua di una lugubre base militare e gli spazi asettici di cliniche ed ospedali colorano il romanzo di tinte oscure che ben si amalgamano al trascinarsi sempre più lugubre degli eventi. Perverse fantasie sessuali, sadici soldati, oscure pratiche magiche ma anche raffinati giochi finanziari, vendette private ed il passato coloniale di Parigi, tutto sembra mostrarsi insieme ai corpi straziati delle vittime di un assassino invisibile eppure familiare.
In un romanzo corposo che non perde mai di originalità pur attingendo al classico filone della caccia al serial killer, una nota a parte merita la costruzione dei personaggi femminili.
In un mondo di perversi assassini e sbirri violenti, Grangé omaggia il cliché – non solo francese – della femme fatale e lo fa con una personalità sfuggente e complessa che non si accontenta di dar voce al tradizionale ruolo della bella e maledetta. Perché Gaëlle, l’eccentrica sorella di Erwan, aspirante attrice costantemente delusa nelle sue speranze, non si accontenta del suo fascino e del proprio gusto per l’eccesso. Croce e delizia dell’intero nucleo familiare, vittima della mania di controllo del padre e del suo stesso nichilismo, la bionda del clan Morvan acquisisce spessore emotivo ad ogni pagina, comparendo nei momenti più cruciali della trama con un’emotività palpabile ed un’umanità (ingenua, ribelle e raffinata) che lasciano positivamente spiazzati.
L’opera di Grangé riesce quindi a fondere gli aspetti migliori delle diverse tonalità del genere poliziesco senza per questo forzare mai la mano, almeno fino alle ultime battute, quando lo splendido e tetro contesto della vicenda lascia spazio ad una giusta accelerazione narrativa che farà consumare i polpastrelli al lettore ansioso di voltare le pagine che lo separano dal finale.
Quella che Grangé ci racconta con abile maestria è la storia di come il male possa pervadere tutti i livelli di relazione umana, dal rapporto padre-figlio fino ai giochi di potere internazionali, e di come spesso lo faccia risolvendosi nel più immediato e brutale dei modi. Perché, come spiega Morvan ad un figlio scettico sull’efficacia della violenza: «E io ti dico che invece il mondo è un enorme saloon. I tuoi finanzieri valgono meno della merda di cavallo sotto gli stivali dei miei cowboy.»

Andrea Rosselli

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