Romano De Marco, l’uomo di casa – Finalista al premio Scerbanenco e vincitore del premio dei lettori



Romano De Marco
Romano De Marco, l’uomo di casa
Piemme
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Nei giorni che precedono la finale del Premio Scerbanenco e l’inizio ufficiale del Noir In Festival, Milanonera, in veste di mediapartner ufficiale, pubblica  ogni giorno  recensioni ai libri presentati e interviste ai finalisti e gli ospiti.  Oggi  vi riproponiamo la recensione a  L’uomo di casa di Romano De Marco uno dei cinque finalisti al Premio Scerbanenco e vincitore del Premio dei lettori.

Ricordiamo a tutti che i cinque  finalisti saranno presentati il 4 dicembre alle ore 18.30 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano.Il Premio Giorgio Scerbanenco 2017, consistente in un ritratto di Giorgio Scerbanenco ad opera dell’artista Andrea Ventura, verrà consegnato poi la sera del 4 dicembre all’Anteo Palazzo del Cinema alle ore 21.

L’uomo di casa
Le apparenze ingannano. È questa la tesi che in modo molto sottile, già dalla calma apparente ritratta nella bella copertina, questo libro sposa. Ed è il crollo di quella facciata fino a quel momento perfetta a investire con brutalità Sandra Morrison, dissipando l’aura idilliaca della sua vita in pieno “sogno americano”. Alan Sandford, suo marito, viene trovato dentro la sua auto, in un parcheggio, con la gola recisa e i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Una morte squallida. La dinamica dei fatti è elementare nella sua ricostruzione. Il colpevole non verrà assicurato alla giustizia, e l’indagine verrà presto archiviata come una rapina finita male a opera, probabilmente, di una prostituta tossica. Un caso come tanti. Ma l’elemento dissonante è che l’Alan rinvenuto in una pozza di sangue in quell’auto poco si attaglia con l’immagine del perfetto marito e padre di famiglia che tutti avevano di lui; Sandra in primis, costretta a fronteggiare l’evidenza di aver accarezzato un ideale del suo uomo che poco corrispondeva con la verità. È stato lui molto bravo a fingere di essere qualcuno che non era, o è stata lei a non accorgersi di nulla, troppo presa dal proprio lavoro e da Devon, la loro figlia adolescente? Questo è solo il primo di una serie di sinistri interrogativi con cui l’autore inizia a pungolare il lettore. Anche perché l’ordine compositivo del romanzo si scinde in tre piani narrativi temporali diversi. Il primo è quello che segue la vicenda a Vienna, Virginia, ai giorni nostri, a sei mesi dalla morte di Alan: periodo in cui, dopo aver convissuto a lungo con i fantasmi e i sospetti della morte del marito, Sandra naviga nel proprio dolore per cercare di tornare a riva e ricostruirsi una vita. Il secondo piano è volto al passato, al 1978/1980/89 per la precisione, e segue il bel personaggio della detective afroamericana della Omicidi del dipartimento di Richmond, Gina Cardena, alle prese con un caso destinato a segnare per sempre la città: “La Lilith di Richmond”, che la vede indagare ossessivamente sulla sparizione e la morte di sei bambini per mano di una donna misteriosa che pare aver agito come un fantasma. Il terzo piano narrativo è un racconto in soggettiva al presente, in corsivo, di un personaggio oscuro e non identificato che pare avere parecchio a che fare con entrambi i misteri che innervano il romanzo. Con geometrica precisione e sapiente maestria, l’autore, grazie a una serie di rimandi interni, utilizza questi cambi prospettici per creare tensione, e catturare e tenere sempre emotivamente coinvolto il lettore in una vicenda che si rivela essere un caleidoscopio di orrori che si riflettono l’uno sull’altro, correndo a perdifiato verso l’apice dell’intensità drammatica grazie a una scrittura tersa, cristallina, perfettamente funzionale al ritmo del racconto, ma capace di eviscerare le emozioni e le pulsioni più profonde e buie dell’animo umano. Se infatti nelle prime pagine l’autore privilegia un versante più descrittivo, teso a ricostruire l’atmosfera rarefatta di un perfetto quartiere residenziale statunitense, dopo pagina quaranta le descrizioni si attenuano concentrando tutta la vis narrativa in un fraseggio più secco, scandito dal ritmo forsennato dell’indagine personale di Sandra e dell’ambiguo e affascinante nuovo vicino di casa, John Kelly, che scava sui segreti che Alan pare aver custodito, con maniacale riservatezza, per anni. Il centro emotivo del romanzo è proprio la descrizione del caldo e protettivo focolaio domestico che cova tra le sue mura segreti e ossessioni. La famiglia diventa così centro di irradiazione di tematiche più ampie e profonde come la natura del male, la violenza endemica nell’uomo, l’incapacità di risanare un passato violento e doloroso, e i ruoli identitari che spesso ci imprigionano costringendoci a mascherare il nostro vero io, pur di non mostrarci per ciò che realmente siamo.
Il bravo Romando De Marco sembra aver trovato la propria dimensione naturale in questo genere letterario, il thriller, che padroneggia in modo magistrale, peraltro ambientando la storia in un Paese che conosce molto bene, lo Stato di Washington D.C. , ma che non è il luogo dove risiede abitualmente. Non pago di questo, alza la posta in gioco scegliendo di adottare un punto di vista femminile, quello di Sandra Morrison, calandosi in una psicologia assai diversa rispetto a quella a cui ci aveva abituati nei suoi romanzi precedenti. Ma anche in questo De Marco rovescia tutti i pronostici, vincendo sul banco, e iscrivendo questo romanzo nel novero di libri quali “La ragazza nella nebbia” di Carrisi, “Uccidi il padre” di Dazieri, “La sostanza del male” di D’Andrea, e “Il turista” di Carlotto, le migliori e più coraggiose opere thriller italiane degli ultimi anni. Ma, se possibile, Romano si spinge anche oltre, andando a sfidare autori come Gillian Flynn, Paula Hawkins, Harlan Coben, Alafair Burke, e lo stesso John Sandford, (che omaggia più volte nel romanzo), senza sfigurare. Anzi, rispetto alle ultime perfomance dei thrilleristi d’oltreoceano, intrappolati in una penuria di soluzioni creative e originali, è il più volte finalista allo Scerbanenco, con i temi portanti della sua poetica noir, ad avere la meglio e imporsi come uno dei maggiori talenti nel panorama del mistery italiano e non.

Piergiorgio Pulixi

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