Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi



Maurizio de Giovanni
Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi
Einaudi
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A Torino “Degio” ci aveva letto il primo capitolo e, ormai tutti aspettavamo a gloria il nuovo Ricciardi e lui, puntuale come un orologio, ce l’ha servito su un piatto d’argento. Et voilà, il barone di Malomonte, il suo primo commissario (forse il più amato?) l’inossidabile bel tenebroso dagli occhi verdi, bramato da molte donne, ma con il macigno, insomma con il “Fatto”, quel peso morto, quella condanna che lo perseguita da quando era bambino  di poter percepire le ultime parole e le ultime sensazioni delle vittime di morte violenta… E, come logico, con lui risalgono sulla scena il suo pilastro, il brigadiere Maione, l’intelligente e antifascista medico legale dottor Modo, e Bambinella il femminiello, che poi è il loro orecchio aperto ad ascoltare le voci della città. Ma torniamo a noi e a Rondini d’inverno in cui la celebre canzone napoletana Rundinella funge contemporaneamente da fil rouge e da colonna sonora. Apertura del romanzo con un vecchio musicista che accarezza il mandolino mentre parla con il suo allievo e poi via con la storia, praticamente tutta narrata in flash back e stampata in corsivo: Natale è passato da poco e, benché il clima sia stranamente primaverile per la stagione, la città digerito il pranzo del 25 pensa già al cenone di Capodanno, e come ogni sera sul palcoscenico dello Splendor, celebre teatro di varietà, il grande attore e cantante Michelangelo Gelmi, come ogni sera, si prepara a “sparare a sua moglie” Fedora Marra. Niente di strano, la scena fa parte del copione e si ripete tutte le volte che recitano nella canzone sceneggiata. Solo che quella sera, il 28 dicembre, dentro il caricatore della pistola, una calibro nove, tra i proiettili a salve ce n’è uno vero. E… quando Gelmi spara “l’attrice viene proiettata all’indietro, scomposta, i piedi sollevati da terra, le braccia larghe” e …”sul corpetto bianco del costume si allarga un’ampia macchia scura”. Ha ucciso Fedora, la sua compagna di vita e di palcoscenico. Poi, disperato, proclama a gran voce la sua innocenza ma ben pochi gli credono: tutti i fatti indicherebbero la sua colpevolezza. Gelmi, già in là con gli anni, stava perdendo la voce, beveva troppo e la sua carriera era in declino. La sua permanenza sul palco dipendeva ormai solo dal sodalizio con la moglie, Fedora, una stella dello spettacolo giunta al culmine del successo. Lei era molto legata al marito, però, così mormoravano certe voci, si era innamorata di un altro e forse stava per lasciarlo. Dalla prima ricostruzione dei fatti, si direbbe che il caso sia già risolto, ma il nostro commissario non è convinto. Qualcosa non quadra, vuole approfondire. Tuttavia, mentre il fedele brigadiere Maione scorrazza perigliosamente per la città al volante della vettura di servizio per aiutare il dottor Modo, proprio lui Ricciardi, che nel frattempo pare sia arrivato a dare una svolta alla sua vita sentimentale (traduco: ha finalmente baciato Enrica, la giovane e timida vicina di casa), è tenuto sotto costante pressione dal vice questore Garzo, che non si vuol guastare le feste. Insomma deve muoversi e sbrogliare in fretta la forse misteriosa vicenda, senza lasciarsi distrarre dalle faccende personali, da certe velate minacce riportate e dall’inconsueta cortina di nebbia che, calata improvvisamente su Napoli, l’avviluppa come un sudario, pronta a nascondere qualche colpo di coda. Anche stavolta, come per le precedenti avventure di Ricciardi, una altera, fastosa e festosa città partenopea degli anni Trenta (ventesimo secolo) funge da splendida cornice alla fascinosa prosa “degiovanniana”. Indimenticabili, le melodiose canzoni che punteggiano la narrazione. Al prossimo Maurizio. Purchessia! E noi ci salutiamo con Rundinella:
Rundinella autore Rocco Galdieri, musica Gaetano Spagnuolo
Tutte ll’amice mieje sanno ca tuorne…
ca si’ partuta e no ca mm’hê lassato…
só’ giá tre ghiuorne…
Nisciuno ‘nfin’a mo s’è ‘mmagginato
ca tu, crisciuta ‘ncoppo core mio,
mm’hê ditto: addio!
E torna rundinella…torna a stu nido mo ch’è primmavera… i’ lasso ‘a porta aperta quanno è ‘a sera speranno ‘e te truvá vicino a me…
Vulanno pe’ cittá nove e stramane,
tu no, nun puó sapé che te ne vène
ogge o dimane…
E si nun truove maje chi te vò’ bene
quanto te ne vogl’io
ll’amice ‘o ssanno
che faje vulanno?
E torna rundinella…torna a stu nido mo ch’è primmavera…i’ lasso ‘a porta aperta quanno è ‘a sera speranno ‘e te truvá vicino a me…
Torna! Ll’amice mieje sanno ca tuorne…
Tutte se só’ ‘nfurmate e a tutte dico:
“Dint’a sti juorne!”
Uno sultanto, era ‘o cchiù buono amico,
nun ll’aggio visto e nun c’è cchiù venuto…
fosse partuto?…
E torna rundinella…torna a stu nido mo ch’è primmavera… i’ lasso ‘a porta aperta quanno è ‘a sera speranno ‘e te truvá vicino a me….

Patrizia Debicke

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