Scrivere è come andare a vela. Intervista a Maurizio de Giovanni, ospite oggi alle 18.00 del Noir in Festival

Maurizio De Giovanni

Oggi, venerdì 4 dicembre alle 18.00, Maurizio de Giovanni, da pochi giorni in libreria con Fiori per i Bastardi di Pizzofalcone , Einaudi, sarà ospite del Noir in Festival. Dialogherà con lui Marina Fabbri. L’incontro sarà visibile sui canali social del festival e in cross.posting sulla pagina Facebook di MilanoNera.

Vincitore  del Premio Scerbanenco nel 2012 con Il metodo del coccodrillo e praticamente ospite fisso del festival: cosa ti lega a questo premio?
Ho avuto una carriera molto fortunata, ma credo di non essere mai stato tanto felice e gratificato come quando ho vinto lo Scerbanenco. Ero stato finalista due volte con Ricciardi, e la prima cosa che pensai fu: e adesso, chi glielo dice che ho vinto col primo romanzo che non lo vede protagonista?

Qual è stato il primo premio che hai vinto? Che ricordi hai?
Io ho scritto per la primissima volta proprio in occasione di un concorso indetto dalla Porsche, al quale alcuni amici mi avevano iscritto per farmi uno scherzo. Fu quel premio, che si chiamava Tiro rapido, a cambiarmi la vita per sempre. Ovviamente ne ho un meraviglioso ricordo, anche se ero convinto che non avrebbe avuto alcun seguito.

Sei uno scrittore molto prolifico e hai sempre detto che non hai l’incubo del foglio bianco, ma ci riveli quale è stato il libro più difficile da scrivere e perché?
Sicuramente Il giorno dei morti, il quarto romanzo della serie di Ricciardi. Quel bambino, la vita terribile che faceva e nonostante ciò il suo attaccamento alla vita che gli era stata strappata, per mano di chi amava di più. Io ho una scrittura di totale immedesimazione, ho sofferto molto nello scrivere quel romanzo.

In Fiori c’è questa frase: “una storia vale solo per il tempo che viene raccontata”. Pensi che valga anche per i libri?
Sicuramente i libri vengono scritti per consentire a chi legge un viaggio. Un viaggio vale per il tempo del viaggio, certo: ma il ricordo di quel viaggio, gli effetti sull’anima che può avere, possono anche restare per tutta la vita. Vale anche per i libri, questo.

In Fiori come in moltissimi di tuoi libri appare lo storico Gambrinus, che ha segnato l’inizio della tua carriera. Cosa significa per te la sua chiusura?
Per fortuna si tratta di una chiusura momentanea, sono in costante contatto con i proprietari e sono determinati a riaprire appena ce ne sarà la possibilità. Certo, non aveva mai chiuso. Nemmeno durante la guerra. Credo che più di ogni altro segnale, per la mia città questo sia estremamente emblematico dell’emergenza orribile che stiamo vivendo.

Ancora in Fiori dici: diventate sensoriali e andate a vela. Quando scrivi vai  “a  vela”?
Certo, che vado a vela. Credo sia giusto e opportuno. Senti il rumore del vento e del mare, stabilisci una direzione e scegli un porto d’arrivo, ma non puoi essere sicuro della strada che farai per arrivarci, né del tempo di navigazione che ci vorrà. Penso sia la metafora più corretta per definire la scrittura di un romanzo, almeno per me.

Nella serialità sono i personaggi che si adattano alla storia o viceversa?Io sono creativo solo nel disporre le pedine sulla scacchiera: ambientazione, personaggi e caratteristiche degli stessi, eventi principali e successione degli stessi. Poi mi metto a guardare la storia come evolve, che traiettoria prende, da che parte va. Direi che i personaggi, una volta impostati, abbiano il diritto di scegliersi il percorso e di seguirlo.

L’essere scrittore ha in qualche modo cambiato Maurizio lettore?
Purtroppo sì, e molto. Mi manca poter andare in libreria e scegliermi le cose da leggere, sulla base di un’impressione, di una momentanea attrazione, di una copertina o di una fascetta. Adesso tra la saggistica che mi serve per scrivere, i libri degli amici, quelli da recensire e per i quali scrivere prefazioni o frasi da mettere in quarta di copertina il tempo è molto limitato. Peccato, chissà quante belle cose mi perdo.

I noir e i gialli sono lo specchio della nostra società, quelli che meglio la illustrano, ma quali sono gli strumenti necessari ad un autore per raccontarla al meglio?
Per quanto mi riguarda non ho dubbi: il fattore principale è la compassione, in senso etimologico. Il coinvolgimento, la partecipazione emotiva e affettiva, un forte sentimento di presenza sociale e di attenzione vera e profonda a quello che di terribile succede attorno. Soprattutto se, come nel mio caso, i delitti di cui racconto sono quelli passionali, quelli relativi alla corruzione dei sentimenti.

In ogni tua serie c’è una Napoli diversa: quella caciarona, colorata ed esagerata di Mina, quella più sfumata di Sara, quella partecipativa di Ricciardi e quella un po’ riservata dei Bastardi. Tu quale senti più vicina?
Facile rispondere che una città come la mia sia talmente complessa da poter facilmente supportare ogni tipo di narrazione. Ti dirò, in più, che è vero e bellissimo anche il contrario: scegliere deliberatamente di raccontare una realtà piuttosto che un’altra, andando a collocare la vicenda nel quartiere giusto, nel tempo giusto, perfino nella giusta stagione. E’ come dirigere un’orchestra, una straordinaria sensazione di ricerca della giusta sintonia.

Ultimamente sei spesso ospite di programmi televisivi che approfondiscono fatti di cronaca. Qual è l’apporto che uno scrittore di fiction può dare a questi dibattiti?
Francamente non saprei. Non mi sono mai proposto per partecipare a qualche trasmissione per finalità promozionali, non mi interessa comparire, ma se mi chiedono un’opinione su qualcosa e io ne ho una, non ho problemi a esprimerla con chiarezza. Penso che la risposta a questa domanda corrisponda alla precedente, alla partecipazione affettiva nei confronti del sociale e quindi dell’attualità.

Parli spesso del noir italiano, ma guardando fuori dai nostri confini, chi sono gli autori contemporanei viventi che più apprezzi?
Ce ne sono tantissimi, per fortuna: Connelly, Lansdale, la Vargas, Indridason, Zanòn, Silva. Ma io credo con tutta onestà che il panorama del romanzo nero italiano sia così vario e fertile da non essere secondo a nessuno.

In un’intervista precedente avevi augurato ai lettori di trovare un libro di cui innamorarsi per la vita. Qual è il tuo?
Sono innamorato di tantissimi romanzi, per fortuna. E non li lascerò mai. A puro titolo esemplificativo ti citerò Il conte di Montecristo, L’amore ai tempi del colera, Delitto e castigo, Il dottor Zivago, Mondo piccolo di Giovanni Guareschi. E potrei continuare per ore.

Concludo con un gioco: immagina di dover schierare una squadra di calcio mista composta dai protagonisti dei tuoi libri. Chi schieri, in che ruolo e perché?
Non scherziamo, il calcio è una cosa seria. E le mie ragazze, Sara e Mina, si arrabbierebbero molto.

MilanoNera ringrazia Maurizio de Giovanni per la disponibilità.
L’incontro di oggi sarà visibile sui canali social del Noir in Festival e sulla pagina facebook di Milanonera.

Cristina Aicardi

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