Seven



a.a.v.v.
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La curiosità mi stuzzicava e mi ha spinto a immergermi nella lettura di Seven, antologia sui sette peccati o vizi capitali curata da Orsi, dove con una cavalcata a briglia sciolta 21 scrittori di giallo noir italiano ci offrono la loro interpretazione su superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia.

Gli autori hanno optato con rigorosa equanimità su tre racconti a peccato regalandoci una conclusiva giustificazione a ogni episodio.

Per darvene un’idea, necessariamente risicata, mi costringo a una rapidissima carrellata esplicativa con qualche breve indicazione.

Suggestivi balzi multidirezionali hanno portato gli autori ad affrontare ciascuno alla sua maniera sfide e abissi di indifferenza o paura.

Per non fare torto a nessuno citerò i colpevoli (ehm… gli scrittori) in ordine alfabetico di vizio.

La Buccia con il suo folle Culo di piombo, la Lama con la sua languida e criminale noia, Leoni, utile testimone di un delitto inutile, danno il via con l’accidia.

Ugo Barbara ci offre un’avarizia ricattatoria che porta al delitto, Nelli la rappresenta con la turpe grettezza di un padre, Proietti con una folle aberrazione che tutto distrugge. Passando alla gola, avremo la gastronomia come arma usata da Laura per eliminare un testimone scomodo, la cena con delitto sarà lo strumento fatale di Pederiali e Zandel ci mostrerà invece una sua fantascientifica punizione.

Alfredo Colitto apre la serie invidia con l’atroce vendetta di un paziente sottovalutato, poi Patrizia Pesaresi con le sue belle scarpe di coccodrillo verde e Varesi la chiude con il suo falso invalido.

L’ira ci accompagna con la nemesi che porta all’assassinio della Jerrera, poi Narciso e la sua incontrollabile violenza che uccide e Ben Pastor con il suo rabbioso scrittore inglese eliminato alla Agata Christie.

Altieri ci travolge con la sua terrorizzante ed iniziatica lussuria, poi Giva e Peressinotto ci danno l’inferno della follia omicida, mentre Vitali introduce inutili e mortali illusioni di voluttà.

Ritroviamo l’ambizione con Gori e una lontana sanguinaria rapina dell’era fascista, il povero Filoandro, il poeta vero, a suo dire, della Salvatori, e l’antologia si chiude gloriosamente con lo strano errore di stampa di Gaetano Savatteri che tanti dubbi pone ai lettori.

patrizia debicke

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