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Torinoir. Racconti che non si potevano concepire in altre città. Racconti apparentemente innocui, riservati, discreti, intimi, che non cercano l’effetto per prendere alla gola il lettore, che non vogliono essere trendy, né imitare gli americani come i falsi ‘cannibali romani’. Racconti scritti con semplicità calviniana, che (…) celano un disagio che è il disagio di questa città, apparentemente per bene ma in realtà madre di raffinate follie. Racconti (..) che bisognerebbe assaporare lentamente, magari a Torino, magari nel cuore della notte, seduti su una panchina al Valentino, dopo aver percorso via Roma inseguito dall’eco lontana dei propri passi. O forse erano quelli di altri.
(dalla prefazione di Dardano Sacchetti)

Torino austera, capitale d’Italia dal 1861 al 1865, orgogliosa della sua storia, del suo Palazzo reale, dell’imponente Mole antonelliana, della Basilica di Superga, con le tombe dei re di Sardegna, la Torino dei Murazzi, della Fiat di Agnelli, la Torino olimpionica, la Torino bianco-nera di Fabio Capello e, infine, la Torinoir, Giallo & Nero delle Edizioni Il Foglio. Un’antologia, con l’efficace prefazione di Dardano Sacchetti, di otto racconti di otto autori torinesi. La lettura offre tonalità, registri narrativi e tematiche di fondo vari e originali: da Fabio Beccaccini, che insiste sul disagio esistenziale e si concede alcuni momenti di lirismo in Chi siamo noi e dove andiamo noi, ad Alberto Castellaro, che, in L’iceberg, con il suo stile cronachistico, lega giallo, noir e fatti storici. Fabio Marangoni partecipa all’antologia con L’annegata del Po, racconto coinvolgente, che, insistendo sull’imprevedibile, stuzzica la curiosità del lettore. Colgono nel segno: Massimo Di Francesco, col suo stile lineare e semplice, ma ad effetto, in Nessuno al mondo, racconto realistico e insieme grottesco; Corrado Farina, attraverso l’umorismo con cui, in Mezzasega, affronta con originalità problematiche socio-politiche e culturali; così anche lo stile spiccatamente umoristico e realistico di Andrea Malabaila, con quel curioso finale a sorpresa in Banana meccanica, Luca Pizzolitto, che insiste ad oltranza sull’ironia della sorte come ingrediente fatalistico e tragicomico della realtà, in Come rugiada (monologo a due voci) e, per finire, Diego Serra, con il suo concitato stile discorsivo, le sue rappresentazioni realistiche e un finale surrealisticamente sdrammatizzante in Come vanno le cose. I racconti, impostati sul principio naturalistico di causa ed effetto, preceduti da piantine topografiche e illustrazioni, originali per strutture narrative, ci portano in giro per la città, facendoci conoscere quartieri, piazze, strade, monumenti, che sembrano partecipare alle vicende. La lettura è senz’altro piacevole: ”Oggi la gente vuole il sangue. E se la gente vuole il sangue, noi dobbiamo darle il sangue” (da Banana meccanica), e svela l’orgoglio degli scrittori di essere torinesi e il timore per la presenza di extracomunitari. I personaggi, ben curati nei tratti somatici e nell’aspetto psicologico, sono specchio di una società che ben conosciamo, tormentata da droga, prostituzione, traffico d’opere d’arte, delinquenza, sottile perbenismo di facciata, insofferenza per una vita “normale”, malessere e insoddisfazione dell’uomo, crisi esistenziale, “…chi siamo noi e dove andiamo noi. Ma questa dopotutto nessuno lo sa” (Fabio Beccacini).
(Simonetta De Bartolo per gentile concessione di www.latelanera.com)

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