Troppe coincidenze nella storia del Mostro di Firenze. Intervista a Alessandro Cecioni e Gianluca Monastra

41QZlpkVekL._SX333_BO1,204,203,200_Pista sarda, compagni di merende, setta esoterica: ognuna di queste teorie investigative ha dei punti forti e delle debolezze e, benché esista una verità giudiziaria, ancora oggi la vicenda non può dirsi conclusa. Ritenente verosimile che le nuove indagini mettano finalmente la parola fine sulla storia del cosidetto Mostro di Firenze?
Sono teorie con un peso specifico diverso. La pista sarda è stata accantonata troppo presto, quella dei compagni di merende è stata capita troppo tardi. Questo ha pregiudicato le indagini in entrambi i casi e non ha permesso di accusare o scagionare, una volta per tutte, molti dei vari personaggi. La setta esoterica invece è stata inquinata dalle suggestioni. Per quanto riguarda oggi, impossibile prevedere l’esito delle nuove indagini. Molti protagonisti sono scomparsi, altri sono molto anziani. Chi indaga punta sulle perizie scientifiche: gli strumenti di oggi negli anni ’80 non erano neppure immaginabili. Di certo, questa è l’ultima occasione. Non ce ne saranno altre.

Alcuni punti sembrerebbero acquisiti. Mi riferisco in particolar modo all’accertata responsabilità del clan sardo per il delitto di Signa e all’ormai condivisa idea che il killer non agisse da solo. Secondo voi si è riusciti a mettere un punto fermo su questi elementi?
I punti fermi sono pochi. Nel tempo i dubbi sono risultati più forti delle certezze. Un esempio, il più eclatante: la pistola. Da sempre si è pensato che gli omicidi fossero stati commessi con una sola arma, la Beretta calibro 22 modello 71, costruita nella prima metà degli anni Sessanta: la firma del Mostro. Adesso no, anche questo non è più tanto sicuro. C’è chi dice che le pistole potrebbero essere state due, chi pensa alla stessa pistola a cui è stata sostituita la canna, chi addirittura a un’arma diversa, magari un revolver.

Cecioni 1Depistaggi, false testimonianze, prove che spariscono e ricompaiono come nella peggiore tradizione italiana: sono queste le ragioni principali che hanno impedito la chiusura del caso?
Generazioni di poliziotti, carabinieri e magistrati hanno dato l’anima in questa inchiesta. Alcuni di loro ne sono stati travolti, la loro vita non è stata più la stessa. Ma molte cose non hanno funzionato, questo è evidente. Indizi sottovalutati, altri considerati in modo sbagliato. Soprattutto all’inizio si è adottato un metodo ordinario per un caso straordinario. Sono passati esattamente cinquant’anni dal più antico dei duplici omicidi. Il primo, a Signa, il 21 agosto 1968. Il filo rosso che attraversa la storia è stato smarrito lì e non è stato mai più rintracciato. Quelli di Signa sono omicidi simili ma diversi dagli altri, una sorta di prova generale dell’orrore che seguirà. Il peccato originale si nasconde intorno a cosa è stato scoperto degli omicidi del 1968 e a cosa è rimasto in sospeso. La ricostruzione imperfetta, gli indizi dimenticati in archivio. Ecco: le certezze sfuggite di mano avrebbero potuto evitare il sangue dei diciassette anni successivi. A cominciare dall’ipotesi di un delitto di gruppo, la stessa ipotesi per anni oscurata dalla convinzione del killer solitario, e molto tempo dopo tornata sorprendentemente alla ribalta.

Tra gli elementi più inquietanti dell’intera vicenda del Mostro ci sono le innumerevoli e agghiaccianti strane circostanze che hanno riguardato alcuni episodi delle vite dei personaggi comparsi nelle indagini. Le morti collaterali, la misteriosa scomparsa del dottor Narducci, gli stessi enigmi legati all’infarto di Pacciani, tutte queste sono solo coincidenze legate alla durata pluridecennale dell’indagine, oppure sono effettivamente elementi sospetti?
Leonardo Sciascia diceva che le coincidenze sono le sole cose sicure in questo mondo. Nella storia del Mostro sono troppe e poi, non dimentichiamocelo, di solito finiamo per chiamare coincidenza ciò che non riusciamo a spiegare. L’ennesima dimostrazione della complessità dell’intera vicenda

Un altro documento sparito, riportato alla luce in questi giorni dal regista Paolo Cochi (la perizia sullo straccio ritrovato in casa di Salvatore Vinci), scagionerebbe uno dei principali imputati della cosiddetta “pista sarda”, di fatto chiudendola. Cosa ne pensate?
In questa vicenda i presunti scoop non sono pochi. Intanto il documento non era sparito, ma era citato in altre carte dei carabinieri, ne parliamo anche noi nel nostro libro. Non è un esperto che “dice chiaramente” a un regista certe cose a escludere o meno un sospettato (che fra l’altro è stato escluso dall’indagine da quasi trenta anni). Ci vogliono analisi, perizie certificate. Altrimenti si parla di suggestioni, di titoli di giornale. Lo straccio in questione non è stato mai davvero analizzato con gli strumenti a disposizione oggi. Dalle macchie di sangue non si è risaliti mai al Dna, i Ris dicono che oggi se gli fosse consegnato forse potrebbero individuarlo. Il gruppo sanguigno di alcune tracce è lo stesso di uno dei ragazzi tedeschi. Una bella suggestione che il Dna potrebbe chiarire. Quanto a chiudere la pista sarda è un problema di tipo processuale: la sentenza contro Stefano Mele, marito della prima vittima, è passata in giudicato. Lui è morto colpevole dopo aver scontato la condanna e nessuno ha mai parlato di revisione del processo. Pacciani per quell’omicidio non è stato condannato, né i suoi complici.

MonastraGianluca_©ClaudioGiovannini(Cge)Da qualunque punto di vista la si guardi, la vicenda del Mostro di Firenze è costellata da episodi incredibili. Cosa vi sorprende di più quando ci pensate?
Quello che stupisce è che ci sia ancora chi non si è arreso. Pensiamo a Salvatore Maugeri, l’amico di Jean Michel, ultima vittima del Mostro, ucciso a Scopeti con la fidanzata, Nadine, nel settembre 1985. E’ grazie alla sua tenacia e a quella del suo avvocato fiorentino, Vieri Adriani, se le indagini hanno ripreso vigore. Ecco è questa persistenza del desiderio di verità e giustizia che sorprende davvero.

L’ultima domanda non può che essere quella con cui si chiude la recensione di “Il Mostro di Firenze Ultimo atto”: come è possibile che questa storia sia accaduta realmente?
A ben guardare la storia potrebbe essere semplicissima: un assassino uccide coppie in atteggiamento intimo in auto usando sempre la stessa arma e gli stessi proiettili. Fra assassino e vittime non c’è nessun legame, tranne forse in un caso, il primo. Quello che rende la storia incredibile è quello che c’è stato costruito intorno, le ipotesi investigative in parte provate e in parte no, dalla verità processuale. Non era uno solo, erano un gruppo, lo facevano per soldi, c’erano dei mandanti, una setta satanica. Anzi no, era uno solo e aveva già ucciso negli Usa. A questo punto la realtà dei fatti si perde, sfuma. Quindi la domanda deve essere più precisa: cosa è accaduto realmente e cosa è stato inventato a posteriori?

Grazie a Gianluca Monastra e Alessandro Cecioni per la disponibilità
Qui la nostra recensione e Il mostro di Firenze .Ultimo atto.
La foto di Gianluca Monastra è di @Claudio Giovannini

 

Thomas Melis

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