Un colpo al cuore è un romanzo di pura evasione. Intervista a Piergiorgio Pulixi –

Da pochi giorni in libreria con Un colpo al cuore, Rizzoli, Piergiorgio Pulixi ha cortesemente accettato di rispondere a qualche domanda
Partiamo dal titolo: Un colpo al cuore. È la seconda volta che usi un titolo di Mina. Casualità o questo potrebbe diventare un tuo tratto distintivo?
A questo punto direi che è un tratto distintivo. “L’appuntamento” (in realtà portato in auge dalla Vanoni, ma cantato anche da Mina), “Per sempre”, di Nina Zilli, “Lo stupore della notte” che è un verso tratto da “Se telefonando” e ora “Un colpo al cuore”, entrambe cantate da Mina. Sì, se tre indizi fanno una prova, siamo davanti a un modus operandi ben chiaro. Le canzoni popolari, soprattutto di quegli anni, parlano al cuore delle persone, a un immaginario collettivo ben preciso, e veicolano dei toni emozionali e delle linee tematiche in maniera molto fluida e netta. Quindi, per rispondere alla domanda, sì: credo che continuerò anche in futuro.

Thriller, noir, commedia, una spruzzatina di horror, almeno nei metodi del serial killer, c’è tutto in Un colpo al cuore. Tu come lo definiresti?
Un romanzo di pura evasione. Dove al vocabolo “evasione” do l’accezione più alta e nobile del termine. Il mio compito come autore è quello di prendermi cura dei miei lettori e, una volta terminata la lettura, farli tornare alle proprie vite soddisfatti, entusiasti e possibilmente con un sorriso a illuminare il loro viso, senza dimenticare la voglia di tornare presto in quel mondo. Tutto qui. Soprattutto in un periodo come questo, dove “intrattenere” le persone ha assunto una dimensione etica e morale molto importante, a mio avviso. L’arte in generale è un dolcificante contro l’amarezza della vita. E laddove la vita si fa particolarmente aspra, l’arte deve essere in grado di addolcirsi e lavare via l’acredine, reinventandosi e mutando forma. Ecco: a livello personale ho cercato di mutare forma, scrivendo un romanzo corposo in cui confluiscono più generi letterari. Il romanzo inizia come un thriller, ma non è soltanto un thriller. Ci si emoziona, si corre con i personaggi, si ride e ci si diverte con loro, si piange e si gioisce, tutto a un ritmo forsennato. Ho sfruttato appieno le possibilità offerte dalla letteratura di genere per costruire un itinerario di viaggio emozionale per i miei lettori. È un libro da lockdown, di quelli che devono prenderti dalla prima pagina e portarti via finché non lo finisci. Questo era il mio obiettivo principe. Regalare un’esperienza di lettura immersiva e appagante. Spero di esserci riuscito.

I cambi di tono e ritmo accompagnano tutto il libro, ci sono analogie tra scrivere un plot e uno spartito musicale?
Sì, ci sono alcune similarità. Forse quella più affascinante è portare il lettore/ascoltatore a familiarizzare col tema dominante dell’opera e poi architettare cambi di ritmo e toni improvvisi, facendolo saltare sulla sedia. Ecco, creare quelle dissonanze apparentemente incomprensibili ma che in realtà hanno una loro coerenza interna, se si ha la pazienza di aspettare, è una “lezione di scrittura” che ho di certo imparato dalla musica, così come l’armonia che deve avere una storia in tutte le sue parti e componenti.

Unire Eva, Mara e Vito dà il via a una nuova possibile serialità. Il riunirli era desiderio tuo, lo richiedeva la storia o hai in qualche modo ceduto alle pressioni dei tuoi lettori?
In realtà era la storia giusta e il momento giusto per farlo. Sono fortunato: ho sempre avuto lettori molto fedeli, che compongono quasi una famiglia tra loro e con me, ma mi hanno sempre dato grande libertà e fiducia. Credo che negli anni abbiano capito che non servo mai degli interessi personali, quando scrivo, ma sono sempre al servizio della storia e quindi al “loro” servizio. Questo rapporto di fiducia mi ha permesso di operare incursioni in generi diversi, libri apparentemente dissonanti con la mia produzione (“L’ira di Venere”, per esempio) e abbandonare temporaneamente personaggi nati seriali come Biagio Mazzeo e Strega. “Un colpo al cuore” nasce dall’idea di far convergere le indagini (ma direi più che altro il rapporto e l’amicizia) di Eva e Mara con “I Canti del Male” di Strega. Questi tre personaggi si assomigliano parecchio. Sono accomunati da una solitudine interiore piuttosto profonda, ed ero certo che mettendoli insieme ne avrebbero combinate delle belle ma al tempo stesso si sarebbero completati a vicenda. Sin da subito iniziano a sentirsi parte di un qualcosa, di un gruppo o una squadra. C’è anche una tensione emozionale/sentimentale che – nel loro lavoro – è assai pericolosa e delicata da affrontare. Mi sono divertito molto a metterli insieme e a osservare come se la cavavano.

Milano e Cagliari sono i due luoghi del libro e anche i tuoi. Dal punto di vista letterario che ispirazioni o suggestioni ti danno?
Mi offrono la possibilità di raccontare due realtà molto diverse. Cagliari (ma direi la Sardegna in generale) mi permette di raccontare in misura maggiore la natura, l’ambiente e le sensazioni che questa splendida terra riesce a instillare nelle persone; di contro Milano mi dà la possibilità di raccontare il territorio metropolitano per eccellenza: un luogo con tante luci ma con innumerevoli ombre, costruito sulla solitudine, sul sacrificio e sull’alienazione di molte persone. In qualche modo queste due città, riflettendoci, sono lo specchio della mia visione del poliziesco: deve contemplare una componente più luminosa (Cagliari) che si deve compenetrare con una componente più oscura e nebulosa (Milano); il continuo gioco tra periferia e grande città, tra luce e ambienti notturni, tra risate e brividi racchiude la mia visione personale del poliziesco. Una visione dicotomica. 

Nel libro ci sono parecchie citazioni di McIlvanney, scrittore che ai suoi plot unisce la denuncia sociale. In quale misura è importante questo autore per te?
Scoprire McIlvanney è stata una rivelazione incredibile per me e per la mia evoluzione come autore. Questo scrittore – l’inventore ante litteram del tartan noir – ha dimostrato come si può coniugare in forma molto elegante la letteratura noir, con tutti i suoi stilemi, e una scrittura alta, raffinata, a tratti aulica ma mai retorica, tipica dei grandi maestri della Letteratura. Di più: i suoi libri sono intrisi di filosofia, etica, morale, romanticismo e queste apparenti digressioni non stonano mai nella trama noir, ma al contrario la sostengono e le donano una vis poetica molto affascinante. Per chiudere, gli scritti di questo straordinario autore scozzese erano senz’altro politici, nel senso che prendeva di petto problematiche sociali stringenti in quegli anni e ci gettava dentro il suo Jack Laidlaw, un personaggio straordinario, bruciante di pathos e gravitas. In questo mio nuovo romanzo McIlvanney è stato il mio faro. A tutti coloro che si ostinano a ritenere il noir un genere paraletterario, minore, un figlio illegittimo della letteratura bianca, be’, consiglierei di leggere McIlvanney per rendersi conto della loro errata convinzione.

Ci sono suggestioni letterarie o cinematografiche che ti hanno aiutato nella stesura? Per esempio il serial killer che tortura strappando i denti mi ha fatto pensare a “il maratoneta”; Mara, così colorita nel linguaggio, potrebbe benissimo apparire in un libro di Stuart McBride: il travestimento poi dell’omicida è un richiamo agli horror dove una maschera che dovrebbe essere simpatica risulta invece terrorizzante, vedi pagliacci e coniglietti per esempio.
Sicuramente un film importante che ha contribuito a rendermi edotto delle potenzialità del “genere” di affrontare tematiche importanti, d’impatto, senza sminuire in alcun modo il potere d’intrattenimento, è stato “Joker”. Tommaso De Lorenzis, il mio editor e fondatore di NeroRizzoli con Michele Rossi, ha amato molto questo film e il suo voler essere incendiario rispetto a un certo modo di intendere il cinema dei super-eroi (o super-cattivi), e mi ha invitato a riflettere sui parallelismi tra quella pellicola e “Un colpo al cuore”. Le analogie e le similarità – per quanto riguarda gli aspetti più profondi del romanzo – erano tante. Così ho studiato “Joker” facendo mia la rabbia di quel personaggio e infondendola nel mio “Dentista” – l’apparente giustiziere o serial-killer della storia. Strega è figlio invece di suggestioni televisive: Luther sicuramente fu una suggestione importante per questo personaggio. Eva e Mara invece rappresentano un po’ “Thelma & Louise”. I riferimenti sono tantissimi, e i debiti letterari, cinematografici e televisivi sono innumerabili e spesso inconsapevoli.

Hai qualcuno che ti aiuta per quanto riguarda i procedimenti della polizia e i database in uso?
Sì.

Quanto sei esperto di profiling ormai?
Non saprei. Posso senz’altro dirti che ho letto tanti libri e saggi al riguardo. Questo sicuramente ha contribuito a plasmare una sensibilità di un certo tipo verso la psicologia e la lettura delle menti e degli animi dei miei personaggi.

Grande è la giusta, critica verso i processi mediatici, quelle trasmissioni che si sostituiscono alle aule di giustizia per fare spettacolo. Perché hanno così successo e soprattutto perché molte persone pigliano tutto per “oro colato”. Il senso critico va sparendo?
Ho cercato di rispondere a questo quesito nel romanzo. Che il senso critico vada sparendo credo che sia davanti gli occhi di tutti, e che l’informazione – in generale, non soltanto la televisione trash – abbia parecchie colpe in merito. Il marketing si è innervato nell’informazione, e questo l’ha corrotta, distorcendone il potere di salvaguardia della verità. Per avere più click su una testata, per vendere qualche copia in più e scalare di qualche punto lo share si è disposti a veicolare messaggi di terrore, di odio, si è propensi a seminare terrore (non parlo solo del Covid) facendo convergere gli sguardi della collettività non sulle problematiche reali e importanti, ma su spauracchi creati ad arte per suscitare indignazione, generare odio e sospetto e terrorizzare le persone. La ricaduta sociale è quest’odio serpeggiante, questo clima pesante di sospetto, questa dietrologia esasperata e questa “tuttologia” spacciata come cultura e competenza. È chiaro che le nuove tecnologie e i social hanno fomentato e accelerato questo processo. Nel romanzo mi sono chiesto: se a questo tipo di collettività venisse dato il potere di decidere della vita o della morte di una persona, con un semplice click e una patente di impunità, come si comporterebbe? La risposta è inquietante.

La tua Luana Rubicondi, presentatrice di una di quelle trasmissioni, mi ha ricordato Flora de Pisis di Robecchi e di conseguenza il personaggio che l’ha ispirata. È la stessa persona anche per te?
Conosco e ammiro Robecchi e so a quale personaggio televisivo si è ispirato. Non è lo stesso mio. Diciamo che la mia Rubicondi è una cugina (lavorano per la stesse rete, ecco un altro indizio) della De Pisis. Luana Rubicondi è una miscela di alcuni presentatori e presentatrici abituati a celebrare, incautamente, processi televisivi. Non l’ho nemmeno esasperata più di tanto. Non serviva. Ho solo messo insieme due o tre persone reali e il risultato mi ha fatto paura.

Adesso ti pongo io un dilemma: vieni invitato a una di quelle trasmissioni/processo con la promessa anche di parlare ampiamente del tuo libro, Ci vai?
Solo se dall’alto mi garantissero l’impunità per i reati che con alta probabilità perpetrerei.

Spesso autori di crime vengono invitati a parlare di casi di cronaca. Qual è l’apporto che possono dare, secondo te? Sempre che ci sia…
Ecco. Non c’è… A meno che l’autore non abbia una diretta conoscenza dell’ambiente in cui è maturato il delitto, una specializzazione in psicopatologia criminale o psichiatria forense, sia – oltre che autore/autrice – esponente delle Forze dell’ordine, giudice, assistente sociale o medico legale, oppure un serio e rigoroso cronista di nera, io credo che farebbe meglio stare a casa e svolgere l’impiego che conosce meglio e per cui viene pagato: scrivere. Ogni altro apporto sulla faccenda sarebbe catalogato nel faldone “chiacchiere da bar”, che si trova nella stessa mensola di quello un po’ più corposo: “opinioni non richieste”.

Il desiderio di vendetta fa parte dell’uomo, inutile negarlo, e non sempre ha un senso negativo Chiamala rivalsa, rivincita, ma tutti ci siamo presi le nostra. Qual è la tua?
Non me la sono ancora presa. Diciamo che ci sto lavorando su.

Ad ogni libro sposti un pochino più in alto l’asticella? Qual è il tuo prossimo obiettivo?
Migliorarmi e regalare ai lettori un’esperienza di lettura ancora più soddisfacente. Far riscoprire il piacere della lettura a chi l’aveva perso.

In chiusura della mia recensione ho scritto che “Un colpo al cuore” va oltre il genere perché li comprende tutti. Tu ti senti limitato dalla definizione “scrittore di genere”?
No, mai. Ma forse perché sono piuttosto consapevole della vacuità e illusorietà di quella specificazione “di genere”… C’è sempre questa “excusatio non petita, accusatio manifesta” quando si parla di noir, quasi che l’autore dovesse mettere le mani avanti per giustificare l’appartenenza a un genere “paraletterario” come venne definito da alcuni critici. Non credo che né io né i miei colleghi abbiamo nulla di cui giustificarci. Scriviamo per il piacere di scrivere e per regalare emozioni ai lettori, tutto qui… Ti ringrazio di cuore per la tua definizione, perché è quello il mio obiettivo: sfruttare ogni arma in mio possesso per emozionare i lettori. Poi per me lo possono chiamare anche “pineapple noir” o “enthusiastic bride thriller”. Non mi tange. L’importante è che i lettori si divertano nella lettura.

Hai anonimato e impunità e vieni chiamato a votare online per un processo. Che fai?
Spengo il computer e vado a rileggere “Delitto e castigo”.

Sempre più spesso trovo libri in cui uno dei temi fondamentali è la discrepanza tra legge e giustizia. Secondo te è così solo in Italia, o è uguale ovunque? In fondo i sistemi giudiziari sono tutti imperfetti al cospetto del concetto di giustizia.
Guarda, l’Italia è il Paese con il maggior numero di sentenze emesse dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo non ancora eseguite, è quello più condannato tra gli Stati dell’Unione Europea per totale delle violazioni per “diritto al giusto processo” ed è credo ancora oggi il Paese costretto a emettere più risarcimenti pecuniari nei confronti di cittadini che hanno fatto ricorso alla Corte europea per processi e sentenze ingiuste. Quindi, per rispondere alla tua domanda, credo che nella nostra nazione questa discrepanza sia più evidente, perché la Giustizia non versa in buone acque, e la percezione che l’uomo della strada ha della macchina giudiziaria è di “malagiustizia” tout court. Le cause sono molteplici: piante organiche dissanguate, carichi di lavoro immani, tribunali paralizzati da un marasma di figure di reato che si potrebbero cancellare snellendo la macchina processuale, quasi il cinquanta per cento di processi che decadono per via della prescrizione, tempistiche di processi penali e civili bibliche… Insomma, la situazione è delicata e complessa. Non che gli altri Paesi siano messi molto meglio, attenzione. In più c’è un problema più etico e filosofico: ovvero l’impossibilità di avere una giustizia terrena che vada a soddisfare il sacrosanto bisogno di giustizia delle vittime. Tornando a McIlvanney lui scriveva: “La legge è ciò che abbiamo perché non possiamo avere giustizia”. Io sono d’accordo con questa affermazione. In assoluto non ci può essere giustizia. Almeno una delle parti si sentirà in credito di rivalsa. Sempre. Al massimo si può avere il rispetto delle norme e della legge, che è ben altra cosa. E credo che magistrati e giudici istruttori siano i primi a esserne convinti. Il rischio quindi è che le persone, stanche di non essere tutelate dalla Legge, inizino a pensare a una giustizia fai da te, arbitraria, fomentati dalla “giustizia trash” da talk-show. Ho voluto affrontare di petto questo tema perché ho sentito che sempre più persone sentivano uno scollamento dalla macchina giudiziaria, non sentendosi più tutelati. Il noir può ancora essere cassa di risonanza per problematiche sociali laceranti. La malagiustizia è sicuramente una di queste.

MilanoNera ringrazia Piergiorgio Pulixi per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a Un colpo al cuore, Rizzoli.








Cristina Aicardi

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