Un commissario durante il fascismo



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Un commissario durante il fascismo
fandango
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Il commissario Luigi Alfredo Ricciardi è diverso dal suo autore: schivo, introverso, riservato. Eppure, il protagonista della serie romanzesca di Maurizio de Giovanni condivide con lo scrittore una passione sfrenata per i vicoli napoletani, per gli scorci, a volte anche solo per il profilo dei palazzi antichi battuti dall’ombra. Ci troviamo infatti a camminare in salita, chiacchierando lungo un marciapiede di via Santa Teresa, quando de Giovanni esclama: «ecco, in quei due palazzi all’angolo con Materdei, una di fronte all’altra, ho immaginato le abitazioni di Ricciardi e di Enrica!». Enrica è la donna amata dal commissario in maniera segreta, quasi religiosa: di questo amore purtroppo ancora non ne conosciamo gli esiti, nemmeno con il secondo romanzo, pubblicato da pochi mesi. E l’autore non vuole sbottonarsi al riguardo, anzi, sostiene a piena voce di non conoscere mai in anticipo gli sviluppi che prenderanno le storie dei suoi personaggi.

Quella di Ricciardi è una quadrilogia sulle stagioni della sua vita, di cui sono finora apparsi i primi due capitoli Il senso del dolore (2007, più volte ristampato) e La condanna del sangue (2008), pubblicati da Fandango e che ben presto verranno trasformati in una fiction televisiva. I romanzi sono ambientati negli anni Trenta, in piena dittatura, in una Napoli ricostruita con perizia ma senza ridondanze: «il lavoro di ricerca è stato complesso, soprattutto perché gli studi sulla società e sui costumi dell’epoca sono difficili da rintracciare. Ma per fortuna, c’è la mia compagna Paola che mi aiuta sempre nel lavoro di documentazione».

L’avventura di Maurizio de Giovanni scrittore comincia nel 2005, grazie al concorso letterario Tiro rapido. Chiusi fin dal mattino in una sala del caffè Gambrinus, i partecipanti avevano a disposizione quindici ore per realizzare un racconto giallo avente come tema un delitto celebre avvenuto nella città: «i camerieri portavano continuamente da mangiare e da bere, e questo ostacolò molto la concentrazione…» ride de Giovanni, «ma riuscii comunque a completare in breve tempo un racconto sul delitto Grimaldi. La suggestione nacque dallo sguardo imbronciato che una bambina mi rivolse dalla strada, attraverso i vetri del caffè. Lì ebbi la prima intuizione del “fatto” e nacque il personaggio di Ricciardi». Il “fatto” altro non è che la particolare dote che contraddistingue il commissario Ricciardi: la capacità di vedere i morti nel loro ultimo istante di vita, come se la visione della luce accecante dell’aldilà imprimesse l’estremo fotogramma nel mondo fisico. Il protagonista de La condanna del sangue è dunque depositario di un dono che, tuttavia, lo pone a stretto contatto con il dolore e si rivela appunto una vera e propria “condanna”: forse per questo il carattere di Ricciardi è schivo, insofferente agli ordini, così distaccato dalle piccolezze della quotidianità eppure così attento ai dettagli della realtà. Ecco: il protagonista dei romanzi di de Giovanni rappresenta la coerenza della logica in un mondo, come il suo, che ha sostituito l’esercizio della ragione con la sottomissione alla propaganda. «L’Italia di oggi assomiglia in molti tratti a quella dell’epoca: piena di miti e di informazioni inutili che ottundono la facoltà critica» continua lo scrittore, «forse per questo tanti delitti passionali ancora non si risolvono: anziché ricercare i moventi e ragionare sulle pulsioni che spingono all’omicidio, ci si affida ai rilievi scientifici e alla loro interpretazione, in maniera miope».

Ma la chiusura d’orizzonti e l’oppressione del ventennio sono allegorizzati anche dallo stile dello scrittore, che sa investire i sensi prima ancora dell’intelletto: ne Il senso del dolore è la cappa di vento e pioggia che invade il linguaggio, che assorda forse un’intera società assoggettata ormai da un decennio al culto fascista. Il primo romanzo della quadrilogia si apre infatti nell’inverno del 1931, con l’omicidio del tenore Arnaldo Vezzi al teatro San Carlo, in una Napoli in cui l’ostentazione dell’ordine e della ricchezza sempre più a malapena cela il dolore e la miseria del popolo. Ne La condanna del sangue, invece, Ricciardi si troverà ad investigare, assieme al fido brigadiere Maione, sull’uccisione di una cartomante e usuraia. Ma ora siamo in primavera e al vento si sono sostituiti gli odori della nuova stagione che impregnano la scrittura e rimescolano il sangue: «in mattine come quella, ben nascosto sotto le esalazioni che salivano dai quartieri imputriditi, c’era il profumo del verde della collina che vinceva sul mare».

Siamo ormai seduti a un caffè in piazza Bellini. La conversazione è durata a lungo, ma mi resta ancora un’ultima domanda da porre allo scrittore: le emozioni, i contrasti e le passioni che animano i suoi personaggi sembrano troppo reali, troppo vissute. Da dove ha preso ispirazione? «Dalla banca, dove lavoro da quasi trent’anni. È lì che gli interessi travolgono le relazioni personali e distruggono i rapporti: per i soldi ho visto fare le cose peggiori». Nel dire questo, de Giovanni sorride con amarezza, socchiude gli occhi e aggrotta le sopracciglia: e intravedo sul suo viso un’espressione che ho immaginato identica a qualcuno. Identica al protagonista dei suoi romanzi. E infatti, quando lo scrittore gira di nuovo lo sguardo verso di me, sento di aver maturato una convinzione: Ricciardi è lui.

angelo petrella

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