Un male necessario – Abir Mukherjee



Abir Mukherjee
Un male necessario
SEM
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Calcutta 1920.
Al capitano Sam Wyndham e al sergente Banarjee della polizia di Calcutta viene affidato il compito di investigare sull’assassinio del figlio del Maharaja di Sambalpore avvenuto proprio mentre i due lo stavano scortando in albergo per dare un’occhiata a dei misteriosi biglietti intimidatori ricevuti dal principe.
Un’indagine da portare avanti con cautela e circospezione dato il delicato momento politico. I venti indipendentisti stanno soffiando sul paese e per il viceré è fondamentale il supporto dei principi indiani.
Inizia così la nuova avventura della straordinaria coppia Wyndham – Surrender-not Banarjee che già avevamo conosciuto nel libro precedente, L’uomo di Calcutta.
Ancora una volta Abir Mukherjee ci trasporta in un mondo lontano, misterioso e affascinante.
Se nel primo libro avevamo trovato un Wyndham che ancora doveva ambientarsi in questo mondo nuovo, qui lo ritroviamo ormai quasi a suo agio e con un rapporto ormai amicale e di fiducia con il sergente Surrender-not. Quello che è rimasto invariato è il punto di vista del protagonista che rappresenta un po’ l’occhio clinico, una sorta di osservatore esterno, equidistante dal mondo indiano e da quello inglese e che quindi meglio riesce a cogliere le contraddizioni della convivenza dei due popoli.
Schiavo del vizio dell’oppio e dedito a scorribande notturne nelle fumerie della città, Wyndham sembra a volte poco inglese e più indiano, mentre invece Surrender-not con la sua educazione da college inglese, le sue conoscenze altolocate, il suo alto lignaggio e i suoi modi compiti sembra il perfetto prodotto vittoriano. È anche molto intelligente e pieno di intuizioni brillanti, ma il suo essere indiano lo obbliga a stare sempre un passo indietro.
E proprio l’amicizia di Surrender-not con il maharaja, farà sì che questi sia invitato a presenziare alla cerimonia funebre nel regno di Sambalpore come rappresentante ufficiale della polizia ,avendo così la possibilità di indagare ufficiosamente sull’omicidio che si scoprirà poi non essere l’unica morte recente nella famiglia reale.
Il capitano Wyndham , ufficiosamente in ferie, lo accompagna felice anche della presenza della signorina Annie Grant, di cui è innamorato.
E con la partenza del treno reale, primo vero viaggio del capitano fuori da Calcutta, si spalanca anche per il lettore un mondo nuovo e intrigante.
Attraverso gli occhi e le osservazioni del protagonista veniamo immersi nel regno di Sambalpore, piccolo principato feudale fuori dalla giurisdizione inglese.
Ne scopriremo lo sfarzo, con i giardini che ricordano Versailles e le partenze per la caccia alla tigre in Rolls Royce,le bambinaie e gli autisti italiani e gli chef francesi, ma impareremo anche che i principi, nonostante l’immensa povertà dei sudditi, facevano molto per il loro popolo, migliorando l’irrigazione, portando la luce nelle città, migliorando le tecniche agricole e sostenendo l’educazione. Ma soprattutto entreremo nell’harem che scopriremo molto diverso da quelli del medio oriente. Qui le donne non sono segregate, sono libere di uscire e godono di un certo “potere” e in più l’essere scelte come concubine assicura tranquillità e benessere per tutta la vita. Il loro ruolo protetto fa sì che le donne dell’harem siano le guardiane della storia, della cultura e dell’eredità indiana. Un regno ammaliante che scopriremo però essere pieno di intrighi e complotti.
Dopo lo splendido L’uomo di Calcutta, Con Un male necessario Abir Mukherjee si conferma un autore abile nel catturare il lettore con un’intrigante trama gialla, nell’interessarlo con un’ambientazione ricca di fascino, nel divertirlo con l’ironia che pervade la narrazione e molto capace nel raccontare in modo oggettivo un periodo complicato e pieno di contraddizioni. Se volete un autore che vi avviluppi in un giallo non scontato, che vi faccia viaggiare nel tempo per scoprire mondi sconosciuti e che vi faccia anche sorridere, beh, lo avete trovato.
L’edizione italiana di Un male necessario è impreziosita dalla traduzione di  Alfredo Colitto.

Cristina Aicardi

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