Una vasca di troppo



francesco ferracin
Una vasca di troppo
fanucci
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Mestre, all’ombra di Venezia. La gioventù bene si scontra con un brutale omicidio razzista. Due compagni di scuola si ritrovano dopo anni e provano a fare luce sul fattaccio, a modo loro, ripercorrendo lungo il tragitto il mosaico della loro amicizia.

«Noi esseri umani non siamo che marionette nelle mani del destino. Le nostre vite sono legate tra loro da corde invisibili. A volte sottili come fili di seta. Altre volte pesanti come catene.» E’ in frasi del genere, secche, enfatiche, il senso del dramma di Una vasca di troppo. Duecentoquaranta pagine di provincia italiana, di nevrosi sommerse, di tic medio-borghesi da sfatare. Che inevitabilmente sfumano nel nero della notte, nel thriller serrato, nascosto dietro il ritratto di una realtà cittadina ricca e viziosa.
L’impatto, sentimentale quando si affida ai ricordi, crudele quando si impegna per distruggerli, è lo stesso dei telegiornali che sbattono in prima pagina violenza e cinismo come se nulla fosse. Francesco Ferracin, attraverso il protagonista tagliato su se stesso, riesce però a evitare ogni giustificazione e affetta la società, sia con le armi che con i giudizi morali. Senza scusarsi per il dolore causato: stavolta è necessario.

matteo di giulio

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