Unabomber



Emiliano Grisostolo
Unabomber
ciesse
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Lo Spettro si aggira a scandagliare la sua terra migliore alla ricerca del tempo più proficuo. Veneto o Friuli, c’è sempre odore di casa. Fondamentale è diventare fantasma per colpire chi, fantasma fino al momento dell’azione, poi non lo sarà più quando il suo corpo martoriato avrà un nuovo nome con cui chiudere la pagina di un giornale. L’offesa della morte sarà risparmiata, ma solo perché la morte non gli sembra un gioco così divertente.
Unabomber è (era? Sarà ancora?) in mezzo a noi. Preciso costruttore di ordigni che lacerano arti, pelli, ossa e occhi. Disciplinato realizzatore di strategie acute perché la tragedia si compia nelle forme volute. Qualche volta fa cilecca. Ma cilecca non è mai una sconfitta totale. Serve anche quella per far crescere l’apprensione, se non proprio il terrore.
E Unabomber è anche il titolo del romanzo di Emiliano Grisostolo, noirista classe 1977 e, se gli investigatori ci hanno azzeccato, conterraneo del celebre criminale ancora senza volto e nome la cui carriera che dura dal 1978 (ma c’è chi la arretra addirittura al 1973). Libro veloce, 38 capitoli in poco più di 130 pagine effettive. Scrittura precisa, che sa farsi ansiogena nel racconto collezionistico degli attentati, governante vieppiù decorosamente il profilo descrittivo degli episodi stessi (pur con la solita deriva enciclopedica che puntualmente prende la mano gli autori delle piccole case editrici), ma con un impianto narrativo da cui trapela un certo timore dell’autore nel voler/dover/saper raccontare quel che ancora non si sa.
Di Unabomber non sappiamo un bel fico secco. Salvo quello che lui ha voluto sinistramente farci conoscere. Qualcosa lo desumiamo dal conto del periodo temporale della sua azione. Per qualcos’altro ci rifacciamo ai profili disegnati da criminologi e psichiatri. Fine delle trasmissioni. Ecco, il breve romanzo di Grisostolo si limita a prendere a piene mani da queste conoscenze, arrivando a cucire una storia che sembra uscire più che altro da un preciso collage giornalistico che non invece da una vera e propria opera d’arte. Quale il romanzo è per natura. Arte dell’invenzione, non cura creativa del saputo. Indipendentemente da quello di cui tratta.
Se l’autore ci avesse dato una sua intima visione (attenzione, visione e non interpretazione) di questo (letterariamente) strepitoso personaggio, se avesse lui creato da sé il profondo nero esistenziale che si è impossessato del criminale, allora avremmo avuto un’opera forse non verosimile, ma profondamente vera. E fortemente più interessante. Invece le sue precise ricerche non producono che l’effetto di consegnarci un “già saputo” cronachistico dentro cui si soffia un po’ di fiction. Con il procedere della lettura ogni capitolo si fa monocorde, monotono, prevedibile. Sulla medesima impalcatura narrativa e con lo stesso registro emozionale, il racconto di ciascuna delle imprese di Unabomber si fa presto cosa già letta nelle pagine precedenti. Con un finale sì personale, ma a questo punto diventato gioco forza obbligato. Peccato.
P.S: Complimenti senza se e senza ma alla magnifica copertina a firma di Andrea e Max Rambaldi.

Corrado Ori Tanzi

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