Uno indiviso



Alcide Pierantozzi
Uno indiviso
Hacca
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Una serie di immagini fulminanti, disturbanti e non convenzionali si susseguono in questo romanzo di un giovanissimo autore, a cominciare dai protagonisti Taiwo e Kehinde due gemelli siamesi con le gambe in comune, a formare appunto uno indiviso. E l’uno indiviso s’interroga su tutto e tutti, dall’aborto alla religione, dalla filosofia all’omosessualità, mentre numerosi flash back irrompono nell’irrazionalità delle sue menti, che si chiedono e rispondo, si contraddicono e si perdonano.
Un libro scritto in uno stile impeccabile, con lirismi che non disturbano, ma impreziosiscono una narrazione che precipita il lettore in sequenze sempre più grottesche a descrivere, senza nulla nascondere, i lati più cupi della nostra società, i bisogni e le perversioni che strattonano ognuno di noi.
Il libro si ritma in capitoli che sono una rilettura dei gironi danteschi, a volte introdotti da estratti di filosofia, o di altre opere che bene s’incastrano con la narrazione e i simbolismi usati. Simbolismi di cui il libro è pieno, dai serpenti, al uroboro, fino agli stessi protagonisti di cui uno è il fratello buono, ma sporcato dalla cattiveria dell’altro, mentre quest’ultimo sarebbe il cattivo, ma la bontà dell’altro ha intaccato la sua perfidia, come un Tao vivente dove gli elementi del bianco e nero non arrivano mai a riempire completamente una parte.
Alcide Pierantozzi ha saputo generare una bestia che un momento ti lecca tranquillizzante e l’istante successivo vibra un artiglio diretto nell’anima, un romanzo ciclotimico che sa spiazzare a ogni pagina e uscire dai sicuri binari del politicamente corretto.
Nell’ultima parte del libro l’autore irrompe nella vicenda, diviene coprotagonista delle sofferenze dell’indiviso, mostra le sue, senza riserve, fino all’ultimo capitolo intitolato ‘antipurgatorio’ dove, la conclusione, depone l’anima del lettore ancora vibrante delle emozioni scatenate.

Umberto Maggesi

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