Vento dell’ovest – Samantha Harley



Samantha Harley
Vento dell’ovest
Neri Pozza
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“Il vento è il respiro di Dio, ed è per mezzo di esso che ci parla”, poi il vento dell’Ovest, che è il vento di ponente, ha in sé, già nel titolo, gli indizi per essere sufficientemente sinistro.
Ambientato nell’Inghilterra del 1491, ad Oakham uno sperduto villaggio del Somerset, diviso a metà da un fiume senza ponti, il romanzo, attraverso un viaggio a ritroso di quattro giorni, ha un’ambientazione gotica, che ci porta lontano nel tempo.
Il parroco del villaggio è alle prese con la misteriosa sparizione da due giorni di Thomas Newman, il benestante del paese, di lui potrebbe essere un brandello della camicia olandese di buon lino, verde come i campi in primavera, trovato su un tronco nel fiume, a cui si era presumibilmente impigliato il corpo e che ci sbatteva contro come uno straccio. A conti fatti, quando il parroco, allertato da Carter, si reca al fiume per l’estrema unzione, del corpo non c’è più traccia, è rimasto solo il pezzo di stoffa.
Thomas Newman aveva appena donato una cospicua somma per la costruzione di un ponte, che avrebbe reso meno isolato il villaggio di Oakham, afflitto da fame e povertà. Pertanto si considerava doveroso indagare se la scomparsa fosse stata accidentale o dolosa. A tal fine era arrivato ad Oakham  il vicario episcopale per aprire ufficialmente le indagini su questa eminente scomparsa, indagini che alla fine vengono condotte da padre Reve all’interno del suo confessionale. 
Tra grate, ombre, misticismo e sensi di colpa assistiamo alla parata di una serie di personaggi e delle loro becere vite, condite da false ammissioni come quella di Sarah Spencer, o violenze private come quelle di Oliver Townshend, signore del villaggio, o abilità da nascondere come quella di Tunley nell’uso del veleno.
L’espediente della grata del confessionale devo ammettere che è sensazionale nel dinamismo del thriller, anche se storicamente forse non calzante, crea quella suspence dell’uomo visto come creatura ripugnante, destinato a diventare cibo per i vermi, e ti ricorda la caducità dell’uomo, inteso come cumulo di carne putrescente destinato a ridursi a mucchietto di ossa, e fa sentire l’alito della morte che rincorre l’uomo giorno dopo giorno fino alla tomba. Un senso di Mea Culpa che non tradisce, non ti lascia in pace e ti fa sentire inadeguato di fronte a qualunque sciagura, come se quasi quasi il popolo del villaggio di Oakham con la sua meschinità meritasse quella morte, che agirebbe secondo un intento catartico di fronte ai mali esistenziali.
Anche la forma del racconto di padre Reve usando la prima persona crea quella scrittura soggettiva e sembra di leggere un diario, ma fa emergere anche un’arenarsi della storia e dei comportamenti dei personaggi.
Lo stile della scrittura di Vento dell’Ovest è ottimo, ma la trama è lenta e lascia indulgere la storia in certi vuoti di contenuto e di azione, che a nulla portano. Si sprofonda nel noir, ma si resta impigliati nel fango come nel fiume di Oakham.

Valeria Arancio

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