Amo descrivere le passioni forti – Intervista a Giulia Nebbia, London blood.


London blood, Sem Editore , è l’esordio nel thriller di Giulia Nebbia che ha cortesemente accettato di rispondere a qualche domanda.
Buongiorno Giulia,
ti va di presentarti a chi ancora non ti conosce?

Buongiorno a tutti! Mi chiamo Giulia Nebbia, sono nata a Torino da una famiglia siculo-piemontese. Ho cominciato a viaggiare subito dopo la laurea in sociologia. Mentre facevo un master di scrittura ho vissuto tra l’Italia e la Francia. Amo il cinema in modo viscerale e all’epoca pensavo avrei fatto la sceneggiatrice. Poi come spesso accade, la vita mi ha portato altrove. Mi sono trasferita a Singapore, dove sono nate entrambe le mie figlie e dove ho fatto diverse esperienze lavorative, tra cui: insegnante di italiano, interprete e traduttrice, consulente e anche sceneggiatrice tv. Attualmente vivo a Londra.

Divisa tra Italia e Inghilterra, passione per le arti marziali, difficile non individuare similitudini tra te e Gillian la protagonista di London Blood, o sbaglio?
Non sbagli! E le similitudini non finiscono qui. Come Gillian, anch’io ho perso mia madre tanti anni fa e ho avuto un rapporto burrascoso con mio padre.
Io però, a differenza di Gillian, non credo di aver mai conosciuto un serial killer. Ma potrei sbagliarmi, pare che alcuni siano davvero bravi a confondersi tra la gente…
Una delle cose che mi intrigava mentre scrivevo (e che se devo dirla tutta, mi ha sorpreso per i risvolti che ha avuto nello sviluppo del personaggio) era far vivere a Gillian queste esperienze forti, che segnano profondamente, e vedere come lei avrebbe reagito.

London Blood è il tuo esordio. Come e quando è nato in te il desiderio di scrivere e perché hai scelto di il genere thriller?
Per parafrasare “Quei Bravi Ragazzi”, uno dei miei film preferiti: da quando mi ricordo ho sempre desiderato scrivere. In terza elementare ho scritto quello che nelle mie intenzioni era un testo teatrale sul genere di “Trappola per topi”. Ricordo di aver sottoposto i miei compagni di classe a estenuanti pomeriggi di prove nel cortile del mio condominio, finchè un giorno ci siamo esibiti davanti alla nostra maestra. Ne ero fierissima, il killer era il tuttofare dell’albergo perchè era l’unico che aveva accesso alla chiave universale…
Scherzi a parte, andare a vivere dall’altra parte del mondo mi ha dato la possibilità di cambiare prospettiva su tante cose e quando sono tornata in Europa, ho sentito che dovevo trasformare tutto il dolore e la sofferenza accumulati negli anni dopo la morte di mia madre in qualcosa di costruttivo, di positivo. Da qui l’idea di scrivere un romanzo. La scelta del thriller è stata quasi obbligata, dato che è il genere che mi piace leggere e in cui ritrovo quelle passioni forti che volevo descrivere.

Quale è stata la scintilla da cui è nata l’idea di London Blood?
Era un tardo pomeriggio di novembre, di quelli in cui a Londra fa buio alle quattro. Stavo vedendo La Bella Addormentata, il film Disney, con le mie bambine e mi sono chiesta come sarebbe stato raccontare la storia della protagonista dal suo punto di vista. Quali sentimenti animano una bambina che cresce lontano dai genitori senza saperne la ragione. Forse rabbia, disperazione. Di sicuro senso di colpa, perchè secondo me quando i rapporti tra genitori e figli sono tesi, il senso di colpa è il filtro attraverso cui passano tutte le altre emozioni.

La figura del serial killer è tipicamente anglosassone, perché hai scelto di raccontarlo e a cosa pensi sia dovuto il fascino che queste figure esercitano sui lettori?
La letteratura anglosassone di genere, a cui io mi ispiro, è piena di serial killer, più o meno memorabili, spesso descritti nel momento di piena attività. A me interessava il serial killer in erba, diciamo. Volevo partire da prima e raccontare la fase delicata, il momento di passaggio in cui tutto peggiora, la strada diventa senza ritorno e la dannazione definitiva.
Queste figure solleticano il lato oscuro che ognuno di noi volente o nolente si porta dentro e, a giudicare dall’interesse che certi fatti di cronaca suscitano nell’opinione pubblica, il fascino che esercitano spesso travalica i confini della letteratura. Il disprezzo assoluto delle regole e delle leggi anche morali che li contraddistingue, può attrarre o disgustare, ma difficilmente lascerà indifferenti.

Temi fondamentali trattati nel libro sono il ruolo dei genitori, il difficile rapporto con i figli, specialmente adolescenti e  i sensi di colpa. Perché hai scelto di  concentrarti su questi problemi e quanto è stato difficile inserirli in una trama gialla?
Il rapporto con i genitori condiziona il modo in cui ci rapportiamo al mondo esterno. Da sociologa sono molto affascinata da questo aspetto. Inoltre, sono temi che mi stanno molto a cuore sia come figlia, sia come madre e su cui ho riflettuto molto nel corso degli anni, anche prima di iniziare a scrivere London blood.
Con una battuta, si potrebbe dire che i legami di sangue non sono tutti uguali, ma questi sono argomenti seri e meritano di essere trattati con rispetto, anche se credo che proprio nelle situazioni più tragiche un pizzico di ironia sia l’unica cosa che ci può salvare dal baratro.
Inserire questi temi in un romanzo di genere vuol dire metterli al servizio dello svolgimento della trama gialla, anzichè il contrario. Trovo che questo sia molto stimolante perchè permette di trattare argomenti complessi in un contesto comunque di intrattenimento. Trovare il giusto equilibrio è la vera sfida.

Più volte nel libro si parla di “ sfidare se stessi e superare i propri limiti”. Anche la scrittura è una sfida?
Assolutamente sì! Per scrivere qualcosa che valga la pena leggere bisogna mettersi in gioco, aprirsi ed essere sinceri fino in fondo, prima di tutto con se stessi. Bisogna sanguinare, è così che si dice no? Non è sempre facile. Io per esempio, ho fatto molta fatica all’inizio a tirare fuori i miei pensieri e sentimenti e trasportarli sulla carta.

In London blood si parla più volte di “disciplina” come insegnamento delle arti marziali. Anche la scrittura richiede disciplina o è più un ésprit de finesse?
La disciplina è fondamentale, soprattutto quando non ti puoi permettere di scrivere quando vuoi, ma la tua giornata è scandita da lavoro e impegni familiari. Detto questo, l’ispirazione può arrivare in qualunque momento e, dato che non le manca il senso dell’umorismo, di sicuro lo farà. Spesso mi vengono in mente spunti per omicidi sanguinosi mentre taglio le verdure per la cena. Allora, prendo qualche appunto veloce e poi mi rimetto a scrivere dopo che le mie figlie sono andate a dormire. Ogni notte, fino a notte fonda.

Una frase del libro è “La violenza è un richiamo potente”. Credi che ognuno di noi abbia dentro di sé “ un doppio” , un istinto violento da tenere a bada?
Se non fosse così non avremmo bisogno della funzione catartica dell’arte e non ci appassioneremmo tanto a thriller e noir.

È vero che in Inghilterra i poliziotti non sono armati?
È un argomento dibattuto da sempre. In Inghilterra, a differenza dell’Irlanda del Nord per esempio, dove tutti i poliziotti sono armati, solo alcuni reparti sono autorizzati ad avere armi da fuoco e sono sottoposti a un addestramento speciale, ma i poliziotti di quartiere e i detective non sono armati.

Non esiste un libro senza studio e preparazione? Quanto e su cosa ti sei dovuta informare prime di metterti a scrivere?
Oltre a tanti romanzi, ho letto tutti i saggi sui serial killer che mi sono capitati a tiro, ma ho anche visto tanti film e serie TV. La mia è una scrittura per immagini, cinematografica, in cui spesso sono i dialoghi a far progredire l’azione. Trovo che questo dia ritmo alla narrazione.


Gli scrittori sono anche grandi lettori. Quali sono le tue letture preferite e i tuoi modelli di riferimento?
Adoro Jim Thompson, il suo modo di raccontare chi ha iniziato la partita con una stecca storta, come dice il protagonista di “L’assassino che è in me”.
Mi piace da morire Joe Lansdale, il suo sguardo ironico sulle brutture del mondo e la sua capacità di scrivere dialoghi indimenticabili. La serie di Hap e Leonard è una vera delizia da leggere.
E poi il grande Edward Bunker, non riesco a decidere se trovo più interessanti i suoi libri o la storia della sua vita.

Abbandoni un libro quando…
Mi accorgo che l’autore non è stato sincero, quando ha scritto senza sanguinare, appunto, cercando solo di piacere o compiacere il lettore.

Il libro che vorresti avere scritto tu?
Sono due.
Il silenzio degli innocenti, perchè Clarice Starling e Hannibal Lecter sono una coppia esplosiva sotto tutti i punti di vista.
L’amore ai tempi del colera, perchè Màrquez riesce a suscitare emozioni che ti squassano nel profondo a ogni parola.

Hai la possibilità di andare a cena con un autore, anche non vivente: chi inviti e cosa gli chiedi?
Raymond Chandler. Tra un whiskey e l’altro, gli chiederei come riesca a descrivere le debolezze umane, bilanciando ironia e romanticismo, senza che i suoi personaggi scadano mai nella macchietta.

Hai già idee per un prossimo libro?
Sì, certo! La trama gialla di London Blood si conclude alla fine del libro, ma io sono una che si affeziona e mi piacerebbe che i miei personaggi continuassero a gioire, soffrire, amare e sanguinare.

MilanoNera ringrazia Giulia Nebbia e Sem per la disponibilità
La foto di Giulia Nebbia è stata fatta alla Mondadori di Saronno

Cristina Aicardi

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