Andrej Longo vince il Premio Chiara 2008

Andrej Longo, ischitano, che vive tra Ischia, Napoli e Roma ha vinto il Premio Chiara con Dieci (Adelphi), raccolta di 10 racconti noir ambientati nella periferia di Napoli in un ambiente sociale degradato.
Un cantante che passa dai fasti della televisione e delle esibizioni ai matrimoni importanti a fare da cavia per la droga tagliata dalla camorra per il secondo comandamento,  un ragazzino che pratica l’eutanasia alla madre per il quarto comandamento, una ragazzina tredicenne che va ad abortire da sola il frutto della violenza domestica per il sesto comandamento, tre sbarbatelli di mezza tacca che rubano l’auto a un boss della camorra per il decimo sono alcuni personaggi di queste storie minimaliste scritte con linguaggio essenziale e facendo largo uso della parlata napoletana.

Nel libro “Dieci”, una tua personale rivisitazione dei dieci comandamenti. Che messaggio volevi dare?
Evito di dare messaggi, volevo solo raccontare le storie di persone che vivono ai confini con il degrado la fatica di vivere una vita normale e anche quando infrangono la legge non ne sono totalmente consapevoli. I comandamenti, più che rappresentare l’assenza delle regole presentano le “regole” che condizionano la loro vita.

Tutte storie molto forti, condite di rassegnazione. C’è qualche speranza per il futuro?
Si, la speranza è nella consapevolezza che i personaggi acquisiscono della loro condizione e ciò è il primo passo per potere eventualmente cambiarla.

Perché l’uso del dialetto nel tuo libro? Volevi rivolgerti solo a lettori locali o volevi costringere i lettori più lontani a comprendere il linguaggio napoletano per calarsi meglio nelle storie?
Le storie sono raccontate in prima persona da personaggi di estrema periferia che non possono che parlare in quella lingua. E’ impensabile che parlino in italiano.

Da dove viene il tuo nome inusuale?
A mio padre piaceva il principe Andrej di “Guerra e Pace”.

E’ vero che, anche se sei laureato in lettere, hai lavorato come pizzaiolo e sei maestro di scacchi?
Si, ho imparato a fare le pizze perché a Ischia d’estate si fanno sempre lavori legati al turismo. La mia famiglia non era benestante e per studiare ho sempre lavorato. Però a casa mia i libri non mancavano. Le pizze ho imparato a farle circa 12 anni fa perché volevo scrivere solo quello che volevo, senza imposizioni. Era un mezzo per pagare la libertà di scrivere, un lavoro che puoi portare dove vuoi. Mi ha dato una maggiore profondità di vita. L’ho fatto a Roma, in Sardegna, in Germania, poco a Ischia perché pagavano meno.  

Di cosa ti occupi attualmente?
Da un anno vivo di scrittura. Dopo la pubblicazione con Adelphi faccio lo scrittore. Sono stato finalista in dieci premi letterari, finora ne ho vinti sei, il Premio Chiara, il Bagutta, il Cala di Volpe, il Premio Bergamo, il Vittorini e il Carlo Cocito-Montà d’Alba. Secondo al Bancarella, al Comisso, al Premio Elba e in finale al Premio Alassio. 

Dedichi molto tempo alla scrittura e hai un metodo particolare?
Alla scrittura non dedico molto tempo, ne dedico molto alla lettura e a vivere. Aspetto e quando non ne posso più dal desiderio, scrivo. Di solito non ho mai una cosa precisa davanti, la scrittura mi porta dove vuole, deve essere anche una scoperta.

Che rapporti hai con gli altri scrittori napoletani? Vi frequentate?
Ahimè, non ne conosco nessuno tranne Angelo Petrella. Però li leggo volentieri.

E’ stata importante per te la pubblicazione di Gomorra?
Per me è stata importante, mi ha fatto capire cose che non avevo colto completamente e è stato il punto di partenza per nuove letture e esperienze.

Stai scrivendo ora?
Si, ma non ti dico cosa.

Ambretta Sampietro

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