Assassini di sbirri



frédéric h. fajardie
Assassini di sbirri
aisara
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Il commissario Tonio Padovani non è nel cuore della gran parte dei suoi colleghi e anche le istituzioni, in alto loco, quando sentono questo nome, o la voce che ne ha il possesso, hanno una reazione che, nella scala emotiva, va dall’irritazione alla incazzatura vera e propria. E non perché questo servitore dello Stato abbia radici che evidentemente lo portano al di là delle Alpi, ma perché agisce come un estremista, uno che è a suo agio con chi grida di mettere fiori nei cannoni, tanto per far capire di che si tratta.

E sì che il commissario non è certo una mammoletta. Però le ingiustizie proprio non le sopporta. Quelle sociali soprattutto. E se c’è da prendere la stessa posizione di operai e giovani ribelli, non si fa pregare due volte. Ora però c’è da mettere le mani su un gruppo di criminali che, in pieno rapimento mistico, uccide serialmente poliziotti, magistrati e politici. Seguendo un rito che sa tanto di danza macabra, con travestimenti clamorosi, capaci di per sé di creare sgomento. Una setta religiosa dietro? Nuovi figli e nipoti di Satana? L’unica cosa che si sa, al di là dei corpi o pezzi di essi lasciati sulla strada, è che restano dentro un anonimato pressoché impermeabile. I suoi superiori non lo vogliono nel caso. Le sue idee progressiste non sembrano essere la ricetta adatta per sciogliere il rompicapo. Ma Padovani è pronto a ricorrere a ogni tipo di porcheria professionale pur di restare dentro l’indagine e condurla a modo suo.

Primo della serie con il commissario Padovani come protagonista, Assassini di sbirri (scritto nel 1975 e pubblicato in Francia nel 1979) di Frédéric H. Fajardie rientra a pieno merito nel migliore noir francese. Quello che con Jean-Patrick Manchette e Dominique Manotti, tanto per citare due nomi, pone al centro del racconto la società, con tutte le sue contraddizioni e ingiustizie. L’autore, morto nel 2008 a 61 anni, è stato altresì uno sceneggiatore. E il profilo cinematografico di questo romanzo, in parte narrato in prima persona e in parte in terza, dà alla storia una sorta di azione perenne e ciak continuo. Fajardie in gioventù ha partecipato al Maggio francese ed era iscritto nei Comités Vietnam. Uno tosto insomma, che alla polizia non le mandava a dire. Forse non ha mai trovato davanti a sé un commissario Tonio Padovani e per questo lo ha creato.

Ottimo colpo della Aìsara, dopo lo splendore che ci regala con André Héléna (a proposito: Il Bacio della Vedova esce il 16 giugno). Che continui con le traduzioni. E che questo libro sia anche per noi un début d’une lutte prolongée.

corrado ori tanzi

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