Bruno Gambarotta, nato nel 1937 vive e lavora a Torino.
Dopo aver lavorato molti anni in RAI come programmista, regista, conduttore e direttore dei programmi, attualmente sta scrivendo un libro ispirato a una rapina postale avvenuta a Torino nel 1990 per una collana di libri della Stampa ispirati a fatti di cronaca nera. Sta uscendo “Giallo Polenta”, scritto insieme all’avvocato Renzo Capelletto, edizioni l’Ambaradan di Torino, molto raffinato, ambientato tra Torino e Sansicario, che prende di mira la giustizia televisiva di Porta a Porta e Matrix, con magistrati che ne sono influenzati. A questo libro, come al precedente “Codice Gianduiotto” è stato dato un titolo “commestibile” in omaggio alla grande passione dell’autore per la cucina.
Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere
Avrei voluto scrivere a sangue freddo di Truman Capote perché è una ricostruzione di un dato reale con un lavoro immenso di documentazione, è una fiction sulla realtà.
Non avrei voluto scrivere Saldi di stagione perché è un centone di ricordi poco organizzato.
Sei uno scrittore di genere o scrittore tout court, perché?
Sono uno scrittore di genere perché pratico la letteratura di consumo, quella che si legge una volta e si butta via.
Un sempreverde (libro) da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare…
Come libro le opere di Beppe Fenoglio, sono veramente sul mio comodino nell’edizione Pleiadi, è lo scrittore che amo di più, la canzone Caruso di Lucio Dalla, il film Il ragazzo selvaggio di François Truffaut
Si può vivere di sola scrittura oggi?
Si, lavorando su commissione si possono fare radio, TV, giornalismo, depliant, presentazioni.
Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Favorevolissimo perché comunque insegnano a leggere e a smontare il giocattolo narrativo e insegnano a diventare lettori consapevoli e a confrontarsi con qualcuno che li consiglia. Le scuole insegnano i trucchi dello scrivere. La gente scrive male, usano avverbi all’inizio della frase, usano venire come ausiliario. A scuola di scrittura insegnano anche a usare con proprietà il linguaggio.
Io non insegno e non lo farei mai.
Tu hai visto la trasposizione cinematografica di un tuo libro: che effetto ti ha fatto? E’ vero che nel passaggio fra la carta e la pellicola si perde qualcosa o no?
Sono due generi diversi, ognuno deve camminare con le proprie gambe. Nel cinema tutto va esplicitato, non c’è posto per le descrizioni e i pensieri. Il film Libero Bruno è stato tratto da Torino, lungodora Napoli e è diversissimo dal mio libro, potevano fare a meno di comperare i diritti. Non ero stato coinvolto né nella sceneggiatura né nella lavorazione del film, anche se in parte era stato girato a Torino dove vivo. Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini avevano sempre cercato di tenermi lontano dalla lavorazione forse temendo che potessi interferire. Addirittura alla conferenza stampa della presentazione del film a Venezia ero andato in incognito.