Cecilia Scerbanenco: vi racconto mio padre, il fabbricante di storie

Durante il Noir in Festival la redazione di Milano Nera ha avuto il piacere di porre qualche domanda a Cecilia Scerbanenco

download (6)In molti sanno chi è Giorgio Scerbanenco, ma noi vorremmo sapere chi è Cecilia Scerbanenco.
Chi sono… Difficile dirlo. Un po’ mi sento come l’erede di una fabbrica, di una ditta. Ho ereditato un lavoro, un compito, e l’ho portato avanti. Mio padre ha affidato la cura della sua opera, la pubblicazione degli inediti, proprio a mia madre, e di conseguenza poi è passata a noi. Ho trovato una lettera bellissima di mio padre, una bozza per un testamento, in cui dice che lascia tutti i suoi scritti alla signora Nunzia Monanni perché sa che lei potrà valorizzarli. Così è stato.
Devo però dire che non me ne lamento. Mi piace molto il lavoro editoriale, nei suoi diversi aspetti: la ricerca di talenti, la lettura di libri che magari non verranno mai pubblicati in Italia, l’editing, la traduzione. E all’editoria ho piegato anche i miei studi, e la mia preparazione, che sarebbe più storica.
A volte mi domando cosa avrei fatto se mio padre non fosse stato Giorgio Scerbanenco, o, meglio, se non fosse morto presto, lasciandoci un’eredità da gestire, ma credo che avrei lavorato comunque nell’editoria, magari non noir. Confesso che a notte fonda, quando ho finalmente un po’ di tempo per me sola, rivedo film di fantascienza e leggo biografie delle donne Tudor.

Lei ha ereditato l’arte di famiglia, ha mai provato a “fabbricare” delle storie sue?
Sì, ho provato, ho anche fatto il ghost writer, un paio di volte, e lo trovo molto divertente. Poi ho scritto molti saggi, articoli, molta non fiction, in questi anni. La fiction, non so, mi mette più in difficoltà. Faccio parte di quella categoria di scrittori che trova scrivere faticoso, forse perché scriviamo “di pancia”, e non di testa, e questo richiede continuo controllo su emozioni molto profonde. Ma non è detto che non mi lanci, prima o poi. Ci sono un paio di progetti che hanno riscosso interesse e il mio agente mi tormenta. Chissà… Probabilmente, questo è il momento buono.

Il fabbricante di storie. Vita di Giorgio Scerbanenco. Ci sono state delle difficoltà nella stesura di questa biografia, qualcosa che avrebbe preferito evitare o qualche aspetto artistico che avrebbe voluto approfondire con suo padre?
Scrivere la biografia di mio padre è stato difficilissimo, sotto tutti i punti di vista. Difatti ci ho messo più di quindici anni. Ho rivisto adesso che i primi contatti con un editore risalgono al 2001. Poi ho sempre difeso una mia idea. Roberto Pirani, un grande esperto di bibliografia, era riuscito a scoprire così tanto materiale che sarebbe stato un peccato non studiarlo, limitarsi a mettere insieme i soliti quattro pettegolezzi delle famiglie rivali e dei colleghi invidiosi, come dice mio padre. In questo senso è stato un viaggio molto bello, anche se molto lungo, alla riscoperta di Giorgio Scerbanenco, il giornalista direttore di Bella, ancora oggi amato dalle sue lettrici che lo hanno conosciuto da ragazzine. Ha significato, per me, anche immergermi nel mondo dei giornali degli anni ’30, e ’40. Tutte realtà poco studiate e, nel caso di mio padre, dimenticate e ignorate. Certo, ho avuto accesso anche a documenti molto personali, lettere disperate o cariche di minacce di donne abbandonate; le note commoventi di mio padre sulla morte della prima figlia, Elena, o quando comprese che non sarebbe più guarito, e avrebbe lasciato me, mia madre e mia sorella da sole… Forse tutto questo pathos emotivo in alcuni punti traspare un po’ troppo, ma essendo sia una storica che la figlia del soggetto studiato non credo fosse evitabile. E forse neanche augurabile.
Con mio padre avrei voluto parlare del suo amore per il Noir. Da dove nasce Duca Lamberti. Come scrivo nella biografia, non ho trovato gialli tra i suoi libri, mentre adorava Faulkner e le storie di guerra, in particolare la Seconda Guerra Mondiale. E, dall’analisi dei testi, direi che Lamberti è più legato alle drammatiche lettere che riceveva dalle sue lettrici negli anni ’40 che da una passione letteraria per un genere. Però poi mia madre in un suo diario dice che, negli anni ’30, Scerbanenco fu molto felice di poter scrivere la serie su Jelling perché amava il giallo. Ma io ho più l’impressione che fosse un’idea dell’editore, perché, nello stesso periodo, altri suoi colleghi si cimentarono nel giallo. E anche perché, stranamente, Jelling è tra le cose più deboli e travagliate che abbia scritto Scerbanenco, lui che di solito, fin dall’inizio, correggeva pochissimo. Invece di Jelling ci sono versioni corrette e ricorrette, episodi rifiutati e così via. Purtroppo, tutta questa documentazione non è in mio possesso. Ho potuto sfogliarla solo una volta e poi non vi ho più avuto accesso. Al di là di queste beghe d’archivio, ciò che mi piacerebbe è sentire dalla voce di mio padre come nacque davvero Lamberti: passione per i gialli o passione per la vita?

Suo padre ha scritto moltissimo, ma sa se, tra tutti i suoi lavori, ce n’è mai stato uno che preferiva agli altri?
Fino agli anni ’60, il suo preferito fu “Il cavallo venduto”, che, come abbiamo capito da alcuni documenti ritrovati, non fu scritto in Svizzera, ma in Italia, nell’immediato dopoguerra. Poi, naturalmente, amò molto tutto il ciclo di Duca Lamberti, per gli stessi motivi per cui disse di preferire “Il cavallo venduto”: l’aveva scritto in assoluta libertà da vincoli editoriali, morali o economici. In Duca, poi, creò un suo alter ego, un figlio di inchiostro. Ho trovato tantissimi appunti e cartelline per degli episodi successivi. Purtroppo, non ha fatto in tempo a realizzarli.

Quale crede sia stata l’influenza maggiore che suo padre ha lasciato in eredità alla letteratura di genere (e non) nel panorama attuale?
Credo che mio padre abbia dimostrato, allora e poi di nuovo negli anni ’80, come sottolineò Carlo Lucarelli, che era davvero possibile scrivere un noir del tutto italiano, senza debiti letterari o con la narrativa americana, ma figlio dei crimini che si consumavano nelle nostre strade, sotto le nostre case.
E l’altra cosa che ci ha lasciato in eredità, soprattutto oggi, è che il noir può essere letteratura. E che, a differenza del giallo, non è un gioco intellettuale per svagarsi, ma un modo efficace per descrivere la nostra società di oggi, nei suoi aspetti più complessi e controversi, senza giudicare, senza rimettere le cose a posto, ma anche senza fare sconti, come faceva il grande romanzo ottocentesco. Credo basti leggere “Traditori di tutti”, che mio padre voleva intitolare “Americano e fesso”, titolo subito censurato dall’editore. Una serie di orrendi omicidi nasce dalla banale avidità umana, quella che ha ognuno di noi, solo che alcuni la seguono senza censure morali. Mentre altri hanno troppa moralità.

MilanoNera ringrazia Cecilia Scerbanenco per la dispobilità
Qui la nostra recensione a Il fabbricante di storie

Mirko Giacchetti

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