Il Mistero di Edwin Drood



Charles Dickens
Il Mistero di Edwin Drood
Gargoyle
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Prima. Prima di Agatha Christie ed Ellery Queen. Perfino prima di Sir Arthur Conan Doyle. Oggi celebriamo i 200 anni dalla nascita, ma poco prima di morire Charles Dickens stava ultimando il suo più autentico romanzo noir, Il mistero di Edwin Drood. Con gli editori aveva concordato un piano che prevedeva dodici dispense mensili di trentadue pagine l’una. Poi un colpo apoplettico il 9 giugno 1870 lo uccise. Addio vita e addio romanzo. Meglio, addio chiusura del romanzo. Che, tradotto per la prima volta in Italia una trentina di anni fa, viene oggi riproposto dai tipi della Gargoyle. L’occasione è commercialmente ghiotta quanto si vuole, ma l’operazione per fortuna si è compiuta.

Perché abbiamo tra le mani un romanzo bellissimo nella sua solenne severità. Incompiuto nella sua forma narrativa, ma compiutissimo nella sostanza. Una città inglese che potrebbe essere qualunque, ma che l’autore chiama Cloisterham. Una cattedrale visitata da personaggi che sembrano fantasmi. Un giovane di nome Edwin Drood in procinto di sposarsi con miss Rosa Bud (Rose Bud, nell’originale, ovverosia Bocciolo di Rosa. Non vi ricorda qualcosa di altrettanto misterioso dalle parti di Orson Welles?). Il ragazzo scompare a un passo dalle nozze. La sonnolente cittadina dà al caso un solo nome: omicidio. Ma, per quanto non si trovi il corpo della vittima, è davvero questa la conclusione?

Dickens è il padre di una commedia umana che non ha nulla da invidiare a quella più ufficiale di Balzac. Padre di personaggi che compongono una comunità esistenziale più vera, viva e vegeta (sigh!) di qualunque presenza con cui ancor oggi ci si può imbattere nella vita quotidiana. E in questa storia la sfilata di uomini e donne, sempre in bilico tra una tragedia delle azioni e una commedia delle reazioni, abita gli stessi piani alti dell’umanità che incontriamo in Tempi Difficili, David Copperfield e Le Avventure di Oliver Twist. Suspense e comicità, intreccio e moralismo borghese-religioso. E una platea di personaggi irresistibili. Il nero è servito con pennellate che non hanno da invidiare nulla ai maestri del giallo. Signori, stiamo parlando di Charles Dickens.
PS: Un consiglio: l’esaustiva introduzione di Stefano Manferlotti (anche traduttore dell’opera) gustatevela alla fine. Partite subito con la storia.

Corrado Ori Tanzi

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