Bologna, oggi. Le dissolute avventure del solito borghese vitaiolo, ossessionato dal sesso femminile (in senso anatomico). Ovviamente, dietro quella scorza ruvida batte un cuore.
Estremo epigono del filone brizzi-morozziano, scritto in un linguaggio sincopato e ripetitivo, raggiunge l’abisso quando si lascia andare ad una sorta di involontaria (mi auguro) parodia del Fenoglio de “il Partigiano Johnny”. Al di là del fastidioso vezzo di dare ai suoi protagonisti i nomi di alcuni fra i sette nani, questo libretto può essere interessante forse solo per la minuziosa descrizione della deboscia notturna bolognese. Poco felsinea è invece la celtica attrazione compulsiva dell’autore per il vomito e le sue innumeri manifestazioni, probabilmente un retaggio dei suoi trascorsi dublinesi.
La prospettiva stroboscopicamente ginecologica della narrazione non riesce a camuffare una gerarchia di valori intrisa di un moralismo datato, né l’autore sa andare al di là della scontata descrizione del vortice autodistruttivo del protagonista, così come l’ossessione patologica di questi per la gnocca non riscatta l’intrinseca misoginia del libro, per cui le donne, ove considerate nella loro interezza, ovviamente, “non capiscono” e parlano solo di diete. Alla fine, nonostante le apparenze, resta la sensazione di un libro nato vecchio, che sa dire solo cose vecchie.
Anche se, devo dire, mi ha rivelato parti del corpo femminile di cui ignoravo completamente l’esistenza.